artista filosofa

Quello con Carmen Trigiante è un altro incontro casuale della rete, ma forse già scritto, indotto, bastava seguire le impronte di cane: un amore, una ragione di vita che ci accomunano.
Quattro cani e un... chihuahua è il primo dei suoi libri che ho letto e la ragione per cui ne ho letti altri. In un susseguirsi di situazioni divertenti, commoventi, rocambolesche, le considerazioni e le riflessioni dell’io narrante, alternate ai colpi di teatro, accompagnano una profonda transizione, un capovolgimento di certezze, reso possibile da uno sguardo ricambiato, occhi negli occhi con quelli di un cane: che sia il tuo o un randagio incrociato per strada e poi accolto, lui sa, prima di te, quanto tu non sai.
Da un cane si può imparare moltissimo, anche l’arte rarissima di «scodinzolare alla vita». E un saggio (In equilibrio fra la terra e le stelle) in cui passione e lucidità, solo in apparenza antitetici, sono dosati con ardore e sapienza, induce a riflettere su limiti, costrizioni e condizionamenti che vincolano l’esistenza di molti e impediscono di raggiungere la felicità, o almeno la serenità, che forse sono la stessa cosa: chi e cosa, quanto e come agiscono? Qual è il sistema migliore per individuarli e sottrarci così ai paradossi vissuti ciecamente?
L’autrice offre ai lettori la propria esperienza come una mappa: dall’adolescenza inibita nelle sue manifestazioni più genuine, agli studi universitari in un ramo non proprio consono, fino alle prime esperienze di lavoro in un mondo «specchio dell’Italia più becera». Dal fondo di un barile, da un baratro, è iniziata la ripresa, come un disgelo e un successivo rifiorire, aiutato dalla Filosofia, dalla Storia, dalla psicologia, da paradigmi e archetipi di valore universale, troppo spesso ignorati nel senso etimologico del termine, cioè non conosciuti. Ne è nato un progetto itinerante di arte poliedrica e piena realizzazione del sé, di confronto, scambio e scoperta di realtà imprevedibili e persone degne.
Non ho letto tutto di Carmen Trigiante, ma ho letto abbastanza per riconoscere l’innata naturalezza con la quale attraversa generi diversi, mantenendo una precisa e riconoscibile coerenza.
Il suo impegno contro la violenza sulle donne la distingue.
Nel saggio Maternità impropria, ricostruisce una breve storia della "genitorialità" e denuncia la fallacia del senso comune, la prevaricazione della morale bigotta e paolina, il conformismo tanto inutilmente contrastato negli anni ’70 da essere sopravvissuto in altre forme, altrettanto conformanti.
In La prigione delle favole sole e Tornano ad ardere le favole affronta temi direttamente legati alla questione femminile. Costruisce una vicenda, collegata nei due romanzi, che mi è apparsa come una sorta di mostro marino, con tentacoli ovunque, che lancia inchiostro nero per nascondersi e proteggere la testa pensante, fino alla resa finale. L’autrice agguanta il lettore e lo conduce sulla via dell’immaginazione intuitiva, attiva la ricerca intelligente della possibile evoluzione degli eventi, sollecita una partecipazione alla lettura che assume un ritmo incalzante.
Sullo sfondo di intrighi internazionali, ammantata dai misteri dell’esoterismo, la costruzione della trama nei due romanzi racconta dell’associazione a delinquere in cui il male si incarna, nelle forme dell’interesse cieco, del potere agito con sopruso e violenza, sulle donne in questo caso, ma – traslando – su chiunque lo intralci opponendosi.
Non è solo questione di donne, alla fine: è questione di persone, di malvagità, perversione, orrori, brutture, e soldi, avidità; l’invidia, la brama di potere e possesso, il gelo della malvagità si incarnano anche in personaggi femminili. E l’autrice sa scandagliare tale universo.
Se nel primo romanzo le figure femminili protagoniste, tormentate, sofferenti, indomite sono animate soprattutto da un insopprimibile senso della giustizia per il quale sono disposte a tutto e gli uomini sono la loro adeguata controparte, l’altra parte, e sono delineati con tutta la gamma dei coinvolgimenti possibili nelle relazioni che si stringono con loro, nel secondo il “gioco delle coppie” assume risvolti tragici. Il maschile si mostra in aspetti imprevisti come accade nel quotidiano: quante volte ci si è chiesti “ma possibile?” di fronte a comportamenti che mai si sarebbero immaginati… E nel coinvolgimento della lettura, mi sono posta il dubbio di essere stata vittima, come la protagonista Maya, della presunta “strategia manipolatoria” di Andrea.
Selvaggia, bambina adorabile che ama i cani d’impulso, incarna i figli delle vittime di femminicidio e al tempo stesso l’idea del restituire alla vita, suscitando la medesima immediata simpatia dell’omonimo personaggio che l’ha preceduta. E Dottor Freud è il cane lupo in copertina, ma non solo: è presenza indispensabile, guida, discreta attenta e istintiva.
La scrittura di Carmen Trigiante è una calamita: aderisce, nel ritmo e nei lemmi scelti, alle situazioni e cambia con il loro susseguirsi, calza su ogni personaggio e ne accompagna l’analisi psicologica. Immagini, metafore, similitudini sono dense e pastose come i colori sotto la luce della Puglia, dove tutto si svolge, una luce che è difficile vedere altrove e dona nitidezze quasi feroci.
È una scrittura che apre sipari, così lontana dalla mia eppure così immediata nell’emozionarmi.