cara Rai Storia

cara Rai Storia,
guardandoti anche oggi, con l'occhio critico sempre bene aperto sulle fonti, mi sono ancor più convinta: tornassi indietro, studierei ancora la Storia; forse sarei in grado di muovermi un poco meglio in ambiente accademico, ma non più di tanto, perché comunque alcuni miei criteri e regole di vita sono inapplicabili lì dentro. Darei lo spazio che meritano a vicende che ho invece trascurato e spero di affrontare a breve sia pure con taglio diverso, e arricchirei con approfondimenti letterari, ma in buona sostanza Storia, Storia e ancora Storia.
Avevo trascorso gran parte del pomeriggio del 25 aprile scorso incollata alle immagini trasmesse sul periodo della liberazione: in buona parte già viste, le avevo riguardate con interesse, complice una strana pigrizia fisica accompagnata da una sete mentale di sapere, vedere, ricordare; cogliere l’occasione per guardare volti, immergermi in luoghi e vicende – alcune studiate, altre note, altre ancora poco conosciute – e immaginare di essere lì nei panni di chi ha vissuto quei momenti.
Uomini e donne, persone che si esprimevano con una correttezza e padronanza di linguaggio oggi sconosciuta a molti laureati, persone che hanno compiuto gesti eroici senza considerarli tali, ma solo ovvie, immediate, logiche reazioni; persone pronte a tornare subito a una quotidianità che avevano contribuito a rendere libera. Finita la resistenza, e dopo? Dopo si ricostruisce, si lavora, si ricomincia con quel bagaglio di azioni e sacrifici da rispettare.
Oggi, nella giornata della legalità, ho guardato un paio di servizi: su Pietro Scaglione e poi su «L’Ora». Mi sono resa conto che non sono sempre presenti alla mente, come invece dovrebbero, tutti loro che cercavano di dimostrare la verità, che provavano a perseguire i reati, che sono morti ammazzati. Però, nel momento in cui qualcuno ricostruisce, racconta, mostra, tutto il vissuto riaffiora: immagini, volti, fotogrammi devastanti, impressi benché non sempre vividi.
E quindi, cara Rai Storia, grazie.
Resta l'amaro in bocca, perché la degenerazione nostra contemporanea appare incontenibile.