diventiamo migliori

L’altra mattina, la prima notizia che ho trovato nell’elenco delle notifiche social è stata la morte improvvisa di Taylor: un cucciolone che avevo imparato a conoscere e amare perché alcuni amici in modi diversi se ne occupavano da qualche tempo. 
In un attimo il loro dolore è diventato mio, mio il senso di sconfitta di chi fa di tutto per trovare a queste anime cristalline, ingiustamente ferite e maltrattate, l’amore e l’accudimento che meritano; spesso, purtroppo, non si arriva in tempo. 
Resta la consolazione; no, la consapevolezza; neppure, la coscienza di aver reso migliore almeno parte della loro esistenza. Resta la certezza che non basti e restano anche i cori di quelli che sminuiscono il dolore, le lacrime, la rabbia: «neanche l’avevi mai visto, e poi è un cane».
Questa stupida supponenza, questo implicito disprezzo per un essere vivente così meraviglioso scatena in me un sentimento orrendo, che amplifica la sofferenza con il senso di impotenza. 
Per provare a lenirlo, ho letto – anzi, ho bevuto come una tazza di cioccolata calda che ristora e rincuora – l'ultimo libro di Carmen Trigiante: Guardami negli occhi. Emozioni e riflessioni sulla strada della felicità con i nostri filosofi a 4Zampe
Avevo bisogno di parole che appartenessero alla mia lingua, di concetti che rinfrancassero il mio sentire, di ancore storicamente significative per rintuzzare la repulsione contro il destino di Taylor, contro umanoidi biechi che abbandonano – quando va bene con scuse impronunciabili – esseri indifesi straordinari, contro carnefici che imprigionano e torturano e sgozzano gli animali per cibarsene, sordi a qualsiasi considerazione sui nuovi equilibri indispensabili al pianeta. 
Al posto dell’intelligere, l’abbuffarsi. E crepa panza, mi è sorto spontaneo augurare. 
Anche perché per intelligere serve altro. 
Per comprendere le piccole persone occorre avere l’umiltà di porsi al loro stesso livello (che non è più in basso, anzi), la capacità di ascoltarle parlare anche se sembrano prive di parola e il coraggio di guardarle negli occhi, ricordando che «quello che scegliamo di fare e di essere di fronte a un animale condiziona tutti i nostri rapporti con il resto dell’Universo» (cit. R. Mantegazza).
Il libro, che mi ha riposato occhi e mente, analizza la visione antropocentrica dominante, ripercorre la storia della filosofia citando chi ha anticipato e ispirato la visione post-antropocentrica (ancora troppo poco frequentata), la illustra e spiega con semplice profondità le ragioni della scelta di non mangiare animali, suggerisce adozioni consapevoli e la necessità di utilizzare corretti metodi di approccio alle possibili difficoltà dei nostri animali, mette in guardia sulle infinite trappole che avidità e cattiveria disseminano in questo settore senza alcuno scrupolo né considerazione del benessere animale. Infine, alternando prosa e poesia, ci parla di Milù, Sissi e soprattutto Flick, al quale il libro stesso è dedicato.
Ci sono tanti pancini a pois come quello di Flick pronti a insegnarci a vivere e a salvarci, dopo averci consolato, pronti a riempire di saggezza le nostre esistenze mentre noi rendiamo degne le loro. Il mio augurio è che questo libro contribuisca a convincere nel profondo gli umani lettori perché si cambi davvero.