erano quattordici

Erano quattordici, belle, rosse, le prime dopo tre anni dal momento in cui avevamo piantato il pesco, poco lontano dall’orto, su una piana esposta a dovere: le nostre prime pesche!
Le avevo viste io, ancora piccole verdi e pelose. Le abbiamo curate, in attesa che il momento della raccolta coincidesse con quello della perfetta maturazione. Attesa ancora più trepidante al pensiero del profumo, della bontà e dell’immagine che avremmo scattato, della presentazione che ne avrei tratto per ricordare gli altri momenti bucolici già radunati nel mio Estemporanea.
Momento finalmente arrivato e pesche… sparite.
Di loro, più nessuna traccia: la pianta spoglia e muta, denudata con un'operazione chirurgica, nessun indizio evidente sul colpevole, zero impronte.
Sarà entrato un ladro? Per quattordici pesche?
Sono partite considerazioni variopinte, adeguate all’umano che si era dato la briga di scavalcare una recinzione per entrare in una proprietà privata con i possibili rischi connessi.
Mentre tornavamo all'orto, arruffati a dovere, inviperiti più che mai, il susino due piane più sotto quella del pesco ci ha mostrato segni di vandalismo che non avevamo notato all’andata: un ramo spezzato, altri due succhiati come bastoncini di liquirizia, corteccia e foglie sparite, le mie (perché le mangio solo io) stupende susine blu di prugna, volatilizzate alcune, altre sparse in terra. Mangiucchiate: chissà, forse non erano buonissime.
Come le guide indiane, abbiamo perlustrato il terreno, ripercorso il cammino, ripassato ogni piana e scovate le tracce inequivocabili del passaggio: la rete abbassata, concava da fuori a dentro, suggeriva l’impronta di un corpo possente che pareva essersi tuffato dal bosco confinante al nostro orticello/uliveto/frutteto. Un cinghiale? I cinghiali non si tuffano. Sembrava piuttosto il salto, anche se non proprio preciso, di un capriolo, daino o cervo: la disputa tra i nostri amici, vicini, più esperti di noi – che siamo neofiti dell’orto e per di più "foresti" – non si è ancora chiusa; qualcuno sostiene che un cinghiale riesce ad arrampicarsi quel tanto (poco) che ci voleva per arrivare alle nostre pesche. Di certo un esemplare corpulento e forzuto a giudicare dalla circonferenza dei suoi escrementi, disseminati come le briciole di Pollicino. Un dato però toglie credito all’ipotesi cinghiale: il Giatt, esperto in materia e amante di quell’odore, di solito ci si rotola e questa volta, annusato ben bene, ha girato gli unghioli.
Il nervoso ha lasciato il posto alla rassegnazione e il cestino si è riempito del primo giro di pomodori da salsa, quelli ritratti nell’immagine.
E ora, al lavoro, ché il capriolo/daino/cervo o forse cinghiale non ci aiuterà.