Europa, Roulettemburg

Nella rilettura de Il giocatore, di Dostoevskij, a parte la straordinaria entrata in scena della baboulinka, la nonna data per moribonda e niente affatto disposta a lasciarsi sotterrare senza aver prima tentato la sorte (avrà per sempre il volto e la voce ineguagliabili di Lina Volonghi), il vizio del gioco, con tutte le relative sfaccettature, perversioni, debolezze, stoltezze, figure e figuranti, mi è parso secondario: sia rispetto alla psicologia dei personaggi e alle relazioni tra loro, sia e forse soprattutto rispetto alle argomentazioni sui russi fuori dalla Russia e sugli europei, singolarmente presi e nelle loro relazioni con i russi, o sull’Europa. Sarà per la guerra che ci accompagna, ma, conoscendo l’intreccio, più che dal resto, sono stata attirata dalle considerazioni sui popoli, sulla loro indole, sugli usi e costumi racchiusi nelle sembianze dei frequentatori di Roulettemburg prima e di Parigi poi.
L’Europa, l’occidente che parla francese o tedesco, che è sempre stato considerato faro di civiltà e progresso, e lo è per le élite russe mentre Dostoevskij scrive, appare invece un bell’insieme di ipocrisie che il giovane precettore Aleksej Ivànovic mette in rilievo e stuzzica, nelle conversazioni da salotto cui prende parte, allo stesso modo del prototipo del russo che vive ben al di sopra delle proprie possibilità e sperpera tutto nel gioco.
Mi ha fatto poi sorridere e pensare a recenti “invenzioni” sul parlare in corsivo questo frammento (cap. VI) che trascrivo:

«Ja wo-o-ohl!» gridai a un tratto a tutta forza, strascicando la ‘o’ come fanno i berlinesi i quali, a ogni momento, nel corso della conversazione, usano l’intercalare ‘ja wohl’ e strascicano più o meno la ‘o’ per esprimere varie sfumature di pensiero e di sensazioni.

[immagine della mia edizione Fabbri, usata...]