il Centodelitti

Amo rileggere Il Centodelitti di Giorgio Scerbanenco, questa “enciclopedia del male”, com’è definita nella prefazione della riedizione Garzanti del 2009, che nel colophon tra l’altro invita a visitare Infinite storie, un portale del romanzo, ricco, bello e purtroppo perduto, che seguivo con interesse.
A me pare persino limitante, come definizione, perché un’enciclopedia, è vero, raccoglie e tratta in modo esauriente, ma non basta se si vuole approfondire per arrivare al cuore del problema/fatto/nozione/argomento.
Il Centodelitti mi è parso più di ciò. Per me è bellissimo e coinvolgente, analitico, ricco di verità di vita, forse vissuta in prima persona nelle diverse esperienze di lavoro, la classica gavetta svolta in settori diversissimi, contenuta nelle rubriche di corrispondenza di cui Scerbanenco si è occupato, letta nelle redazioni dei settimanali per cui ha lavorato, rielaborata dalla sua penna, che trovo fantastica.
Come a una mostra di impressionisti, ogni racconto appare un quadro a soggetto, ogni pennellata cattura, ogni delitto (ma non solo), con una frase, il dettaglio di un luogo o di un gesto, l’immediatezza di un’azione, un indizio da cogliere, catapulta all’istante dentro la storia che magari si esaurisce in poche righe – l’essenziale da sapere – ma, intanto, è riuscita a far immaginare tutto il prima e il dopo.
Nelle pagine di Scerbanenco c’è Milano con la sua mala. Par di sentire la voce di Milly cantare «Ma mi, ma mi, ma mi…»; una città sparita, di anni passati, che affiorano nitidi, come in una raccolta di cartoline in bianco e nero conservate alla perfezione, uscite dagli archivi della cronaca nera dei quotidiani di allora, testate che non ci sono più (La Notte, ad esempio) o ancora in vita ma tanto diverse, come il Giorno o la pagina milanese del Corriere della Sera, quello delle grandi firme, degli inviati all’estero, dei direttori di peso, fino agli anni ’90 (forse anche prima). Un mondo sparito.