il posacenere ('43 - '23)

Lo considero un reperto: credo abbia più anni di me, oppure è mio coetaneo. 
A casa mia non si addobbava l'albero, ma si allestiva il presepe, che ricordo benissimo, specie il cielo stellato disegnato su un grande foglio di carta blu notte. 
Non se ne è conservato nulla, purtroppo, se non il tavolino sul quale lo si sistemava; è rimasto anche questo posacenere che papà usava durante le festività: ci spegneva le sigarette che fumava seduto sulla stessa vecchia sedia sulla quale sono seduta io, ora, al tavolo dal quale sto scrivendo io, ora.
Chissà cosa pensava quando insisteva sulla cenere delle sue Edelweiss senza filtro. Forse al fatto che era riuscito a non diventare cenere, era sopravvissuto e mi aveva messo al mondo.
Ho ritrovato questo posacenere da addobbo minimale nel necessario riordino di questi ultimi tempi e mi piace usarlo ancora, come un'idea di albero di Natale. Io non fumo, ma ho sufficiente cenere di impicci fastidiosi da raccogliervi e da buttare. Al vento? No! Non sia mai che - data la loro natura [gli amici comprenderanno] - io rischi di provocare un alto tasso di inquinamento. La tratterò come un rifiuto tossico, da smaltire con accuratezza.
Conservare, ripetere gesti e mantenere abitudini e comportamenti: è questo (anche questo) il senso del Natale: serenità, sicurezza, affetti condivisi accontentandosi di poco, del necessario.
Spero di riuscire a raccontare a dovere (quando il romanzo storico che ho in testa diventerà concreto) il Natale del 1943 che mamma ha trascorso a casa con il cuore rotto dalla paura del peggio e papà al gelo sottozero dello stalag 307 a Deblin Irena, con una cipolla cruda per cena. Ed era un lusso.