Kafka

Mi capita di osservare nella mia libreria vecchi libri ancora intonsi – troppi – o da rileggere. È come se mi dicessero: «Ti ho aspettato finora; altro tempo in più che vuoi che sia, per me. Non so per te». Talvolta, non ho ben chiaro quale impulso mi spinga verso certi di loro, che si mostrano un po’ più visibili degli altri.
I racconti di Kafka erano là da parecchio: edizione 1968! Acquisto di papà, non mio che all’epoca amavo altro. A lettura terminata, ho cercato interpretazioni critiche per rispolverare la memoria di studi liceali ormai lontani e fermatisi molto prima nell’arco storico della letteratura.
Secondo alcuni, i personaggi dei racconti potrebbero essere momenti incarnati della malattia (tbc) dell’autore: un dolore alla schiena trasforma Gregor Samsa nello scarafaggio della Metamorfosi. Per altri Un vecchio foglio racconta l’archetipico terrore nei confronti dell’estraneo, nomadi ladri e invasori osservati da dietro le finestre del palazzo dall’imperatore che lascia ad artigiani e commercianti l’impari compito di salvare la patria.
Sono immediate le analogie con le atroci torture de La colonia penale datato 1919 o con le pennellate sulla belle époque parigina: le «gran dame con gli occhi tinti» affacciate sui loro terrazzi mentre il lembo dell’abito («straccio») è ancora sulla sabbia del giardino; l’informazione, «questa informazione palesemente menzognera»; i dialoghi da babele con un mendicante o un ubriaco o un bambino, uscito da un oscurissimo corridoio, che parla di fantasmi con il tono indisponente di un adulto; il malsicuro passeggero sulla piattaforma del tramvai; i concorrenti invidiosi di una corsa a cavallo, «gente astuta e per lo più influente».
Di sicuro mi hanno convinto le riflessioni trovate su corridoiolaterale.com (blog in apparente disuso, peccato) che sottolineano come la rivoluzionaria incompiutezza dell’immagine dei racconti di Kafka sappia scardinare tutte le strutture, foriere di inquadramento e omogeneizzazione. Ancora oggi.
Per rispondere alla domanda iniziale, ad attirarmi è stata forse la mia totale estraneità al contrasto con l’autorità paterna de Il giudizio (altrove La condanna), ma il ruolo potrebbe avere altre sembianze.