"la nevicata del '56"


I ricordi giocano a volte come le bocce di un biliardo: la stecca di un giocatore esperto ne colpisce una ma le fa rimbalzare tutte... e così, l'anniversario della morte di Franco Califano mi ha riportato a una serata dell'estate 1975 in cui l'ho visto e sentito cantare al Casinò di Levanto, a uno sguardo troppo esplicito per me che mi sentivo troppo piccola; un articolo su di lui e sulla sua splendida "La nevicata del '56" mi ha riportato all'atmosfera di un libro che mi è piaciuto tanto.
Si tratta di La bambina che mangiava i comunisti, di Patrizia Carrano.
Questa la mia nota a margine.

Il legame che si instaura tra chi scrive e chi legge, cui l’autrice dedica una nota a fine romanzo, è il motivo per cui questo titolo e la vicenda narrata mi hanno subito attirato. Sono nata nell’anno in cui la vicenda si compie, in quel 1956 noto per le rivelazioni di Kruscev, per l’invasione dell’Ungheria, di cui da piccola sentivo raccontare da papà, con grande apprensione per la paura vissuta, e l’anatema cattolico che il titolo sovverte mi ha fatto sorridere e incuriosito. Ho pensato: troverò una nuova lettura di un mondo e di un ambiente che – in tutta sincerità – nella mia famiglia non ha mai trovato apprezzamento, ma che era considerato preferibile a certa doppiezza democristiana. Me lo ha raccontato Elisabetta: dieci anni, sensibilità spiccata e intelligenza arguta, innata ma anche indotta dall’educazione e dall’istruzione ricevuta.
Questa attinge a piene mani dall’universo culturale “rosso”: le sue fiabe sono popolate di Baba-Jaga, i suoi sogni, persino i suoi incubi, sono popolati di figure simili a quelle dei cartelloni pubblicitari delle campagne elettorali; i suoi capelli sono rossi perché figlia di una comunista (le spiega la mamma, ma da chi avrà ereditato quel carattere somatico?) e perché sono l’idea/ideale portato in testa meglio dello stemma araldico del padre; il suo desiderio di sapere coglie e assorbe tutto quanto le ruota attorno. Si tratta dell’apparato di partito che si riunisce in ambienti fumosi, di cui impara a distinguere la puzza, si perde in discussioni estenuanti, si alimenta di pregiudizi maschilisti e convinzioni in via di sgretolamento. Si tratta dei “pezzi grossi” amici della mamma, che discutono e vivono, che per Elisabetta sono gli adulti di riferimento al pari delle “compagne di base” che, preoccupate della sua magrezza, la rimpinzano di cibo, e degli artisti (pittori, scultori, poeti, ognuno con le proprie ubbie) che cenano dai fratelli Menghi, locale diventato storico.
Gli amici di Elisabetta sono i ragazzini di Campo Parioli: Cesira, cui regala un abito, suo fratello Straccio che vuole fare il ladro e i comunisti «se li arrusca tutti quanti». Mentre la mamma, percepita come una comunista anomala cerca un lavoro “politico”, un ruolo, un uomo e una casa, Elisabetta segue, osserva, vuole capire, domanda e ascolta spiegazioni quasi crude oppure ne deduce di proprie, specie quando la mamma la deposita da qualcuno.
Arrivano l’inverno, il Natale e la festa della Befana a Botteghe Oscure ma Elisabetta desidera rivedere gli amici di Campo Parioli ed elabora un suo segreto piano quinquennale, degno di una ribelle. È l’inverno della nevicata del ’56.
Sono molti i livelli di lettura di questo romanzo, tutti coinvolgenti e frutto di un lavoro di ricerca minuziosa che non appare ma sostiene tutto.
Non è un romanzo storico, ma ci si legge la Storia, anzi, ci si immerge nella Storia.