Lodi

Lodi. Storie e leggende di una città lombarda, a cura di Angelo Stroppa, Quaderni di studi lodigiani n. 32, Edizioni dell’Archivio storico lodigiano, 2022.

Scorrere le pagine di questa preziosa guida patrocinata dalla Familia Ludesana, è stato come tornare bambina e rivivere una delle giornate della mia vita a Lodi: sono scesa dal treno alla stazione, ho percorso il viale alberato, ho superato il Torrione e, al bivio con via del Guasto, infilato corso Vittorio Emanuele, mi sono fermata in piazza, da Tacchinardi (aveva sempre un dolcino tutto per me), mentre papà e mamma salutavano amici e conoscenti, e ho proseguito da via Gabba in via Solferino, fino a via Calisto Piazza, dove avevo vissuto appena nata per qualche mese a casa dei nonni materni; da questa casa, tatuata nei ricordi in ogni minimo dettaglio,  il maestro Lenzi, mio nonno, creatore e direttore di numerose bande musicali, usciva per andare a suonare l’organo in quasi tutte le chiese della città. Il pomeriggio, meno spesso di quanto avrei desiderato, uscivo con papà per raggiungere gli zii paterni in corso Roma, e salutare i cuginetti nell’appartamento soprastante la farmacia Giberti (un'istituzione), dove sono tornata in questi ultimi anni anche per Natale, come talvolta un tempo.
E ho rivisto l’Incoronata: scrigno ottagonale di bellezza e cultura («Guarda Ninin: la struttura, i dipinti, gli affreschi, le cappelle, l’organo e vedi lassù, la luce che arriva dalla lanterna e illumina»). Una pagina dopo l’altra, questa guida mi ha portato nell’interessante percorso ipogeo, legato alla storia delle fortificazioni; e poi a zonzo, lungo le planimetrie ottocentesche, immaginando avi che le hanno abitate e vissute e ricordando le espressioni ricorrenti in famiglia quando si parlava di qualcuno di Lodi e per identificarlo meglio si usava l’indicazione toponomastica, dove abitava o il mestiere/professione che esercitava; le targhe delle vie e i numeri civici hanno avuto lo stesso effetto di un sentore noto, di un gusto atavico.
Utilissima ai fini identitari è la parte dedicata alle variazioni della toponomastica; suggestiva la scelta di trascrivere un documento d'archivio: le Annotazioni diverse di cose in Lodi dall’anno 1643 al 1760 mostrano, come in un film, case e persone che le abitarono in quella Piazza del Duomo che è il cuore della città.
Lodi è una città di provincia, sottolinea giustamente Marina Arensi: ne possiede le migliori caratteristiche, tutte riscontrabili specie se si seguono le vie dell’arte, nelle chiese che il suo articolo illustra, nelle architetture della città, nei suoi palazzi a misura d’uomo che tutta la guida mostra disseminando le pagine di fotografie.
Ci sono nomi, storie, immagini, oggetti in ceramica, cibi (il grana e la ra'sspadüra, i chissuli'n che cucino a carnevale, le rane che non mangio ma mi ricordano papà che ne andava matto, i mein di cui era golosa mia mamma, i ciuchi’n da pucciare nel latte) che fanno tutti parte di me. 
Erano di casa perché la mia famiglia è di Lodi.
Erano di casa perché Paolo Caretta (al quale devo questo bellissimo regalo), che è Regiù della Familia Ludesana,  è un mio amico d’infanzia; perché suo papà, prof. Alessandro Caretta era persona conosciuta, stimata e letta sulle pagine dell’Archivio storico lodigiano. Lui, Giovanni Agnelli, Age Bassi – alcune delle personalità cui è dedicato il volume – sono autori ben noti di volumi collocati nella mia libreria da sempre, bibliografia di riferimento imprescindibile sulla storia di una città «pudica, gentilizia e regale» (P. Borella, p. 27). E chi non ne vorrebbe i natali?
Arrivare all’ultima pagina, chiudere il libro e scrivere questa nota a margine, è stato come riprendere il treno per tornare a casa mia, a Milano: rivedo il nonno che ostinato ci doveva accompagnare in stazione e star lì fino a quando non lo vedevamo più dal finestrino; il buio della notte, le luci della metropoli, pochi passi a piedi da Lambrate a casa. La lettura mi ha lasciato tanta nostalgia di Lodi, il rimpianto di non averci vissuto tutta la mia quotidianità, ma anche la certezza che la lodigianità è un habitus, una forma mentis, un ubi consistam, un dialetto che racchiude nelle sue espressioni la sagacia di un popolo.