manuale di volo tra camici svolazzanti

Ho vinto una biopsia, dice ironica Minnie Luongo.
Come?!
E se capitasse a me?
È la domanda sorta spontanea – come diceva qualcuno – fin dalle prime pagine di questo racconto di vita vissuta, esempio di utile ed empatica medicina narrativa.
Se capitasse a me di essere chiamata per verificare un’immagine sospetta nella mammografia di controllo, nel primo momento di lucidità disponibile, andrei a prendere questo libro e lo terrei a portata di mano: come un manuale? Asetticamente, sì, lo dice anche il sottotitolo. Come il braccio cui appoggiarsi mentre ti accompagna e ti aiuta? Ecco, sì, questa è la sostanza vera. E il “braccio” saldo, che accompagna l'autrice ma anche il lettore, è quello di Paola Emilia Cicerone: una voce pacata ma puntuale a sottolineare, stemperati dall’ironia di Minnie Luongo, momenti cruciali in cui appaiono i "malanni" del nostro Servizio Sanitario Nazionale, che pure ha delle eccellenze reali, ma talvolta solo funzionali al raggiungimento statistico di determinati standard in cui il malato, bisognoso di attenzione e bussola, non ha rilievo alcuno e sparisce dimenticato. Fa in tempo a guarire e raccontarlo, oppure fa in tempo a morire: «Morirà prima di qualcos’altro» è una “perla” del mio passato rimasta impressa nella memoria.
Perché, in realtà, qualcosa di simile mi è capitato, anche se non direttamente, e non una volta sola, come immagino alla maggior parte delle persone, considerato che è raro evitare questa malattia. E, leggendo questo libro, ho rivissuto soprattutto i momenti dell’attesa degli esiti e della diagnosi.
Fatico a individuare quale mi è pesato di più: l’attesa lascia forse lo spiraglio della speranza, la possibilità dell’azione, anche se questa si risolve spesso in ricerche assillanti e deleterie, fino all’etimo di parole sconosciute: ho studiato greco al liceo, servirà pure a qualcosa – mi dicevo di fronte a lemmi ostrogoti e acronimi pronunciati come dovessero essere noti a chiunque. Sotto questo aspetto, l’autrice godeva - o meglio, era convinta di poter disporre - del “vantaggio” (sul filo della sua ironia) della propria competenza: lavora da sempre con il linguaggio medico, scrive di medicina. E invece...
È un tipico atteggiamento di alcuni medici quello di parlare al paziente come fosse un esperto: «Me lo spieghi come se avessi due anni» era la richiesta che ho sentito ripetere quando il desiderio di capire cosa stesse accadendo al proprio corpo e cosa si stesse organizzando per curarlo, per quanto doloroso o “brutto”, superava ogni altra necessità.
Poi ci si affida, se ci si fida del medico, ma ci si smarrisce facilmente di fronte a certe affermazioni di cui anche un bambino capirebbe il rischio di travisamento; ho sentito con le mie orecchie questa frase: «Non penserà di fare la crociera di fine anno…» (era il 6 dicembre); il sottinteso erano la celerità per giungere a una diagnosi più mirata e le terapie da affrontare, ma il primo pensiero – non esplicitato e quindi lasciato lì, a incancrenire pure lui – si è presentato in gramaglie e con la falce. Altro che psico-oncologo.
Per quanto si possa essere forti e psicologicamente attrezzati è una notizia cui è complesso reagire.
Per carattere, si sceglie: cercare il sostegno di familiari e amici, oppure far da sé, una scelta forzata quando si è soli e in quanto tali non preventivati dalle strutture sanitarie. Può anche capitare che il malato sia tanto forte da sostenere il familiare, da rendergli sopportabili i passaggi diagnostici e quelli delle cure, in day hospital o a casa, dove il cartellino, appeso allo specchio del bagno e voltato ogni sera, reca scritto "dx/sx" a indicare il lato pancia utile per la prossima iniezione di eparina. E i tatuaggi da centratura, sempre lì, ad essere per fortuna scambiati per qualcosa che va via passandoci sopra una mano. E la valigetta degli esami, indispensabile, sempre più pesante, quasi legata al polso che neanche un portavalori; la ricerca del reparto giusto, stanza quale, attesa dove, porte chiuse, camici frettolosi, svolazzanti e imprendibili, ma si deve bussare? No, escono loro; la solidarietà fra malati.
Sono facilmente riscontrabili nella pratica esperita tutti i rilievi dell’autrice e di Paola Emilia Cicerone: la mancanza di un ruolo di guida del medico di base, la scarsa o nessuna attenzione alla psicologia del malato, i servizi dedicati ma inesistenti, persino volontari inadeguati e assenza di sedie, fino alla pericolosa superficialità e alla trascuratezza nella prescrizione di farmaci potenzialmente dannosi, che costringono a insistere non solo perché sia dato ascolto ai propri sintomi, ma addirittura perché sia letta la propria cartella clinica, la necessità di ricorrere a scorciatoie o sbraitare per ottenere ciò che spetta di diritto; nonostante ciò, esistono isole accoglienti dove le persone con il camice suppliscono alla farraginosa organizzazione grazie a volontà, scrupolo, professionalità, caparbietà, lavoro d’equipe; e associazioni di volontariato che forniscono il supporto necessario.
L’autrice dedica al «come fare se» una serie di utilissime e dettagliate schede esplicative, oltre a interviste mirate ai medici di famiglia e specialisti (senologo, radiologo, genetista, psico oncologo, chirurgo plastico) e ai paramedici, infermieri e volontari inseriti nelle associazioni, tutte facilmente reperibili grazie a indicazioni complete che indirizzano al meglio nel settore.