naturale essenziale
Ma
quante parole inutili utilizzo di norma per esprimermi? E quanto spesso
risulto verbosa, ripetitiva, inutile? Troppe e troppo spesso, mi rendo
conto dopo l’incursione nella prosa di A grandezza naturale, con Erri De Luca che torna a indicare
la strada, a indurre la ponderazione, con una bellissima lezione di
economia delle parole.
Mi ha trascinato nella sua «narrativa dei nodi»: quelli che si aggrovigliano, o si sciolgono, o si tranciano, nella archetipica vicenda del rapporto genitori e figli. Mi ha lasciato lì, avvolta nel gomitolo che ha generato, ferma a riflettere, con il dito infilato tra le pagine per non perdere il segno e rileggere, mi ha catturata con la bellezza della frase, o del periodo, asciutto e intenso, delle parole usate con il contagocce. Le riflessioni, sugli etimi, sui casi e le loro declinazioni, sui segni e significati dei lemmi nelle lingue e nei dialetti, disseminate con sapienza, mi hanno costretto a una lettura lenta e meditata, e portato dai racconti biblici alle vicende dirimenti del 1900 legate ai crimini nazisti, con l’aiuto di riferimenti colti, ricordi, storie e Storia.
Affascinano queste vite raccontate nei loro momenti nodali appunto, e il nodo del legame con il padre mi ha attirato come una calamita; l’interesse è cresciuto ad ogni riga perché mi coinvolge scoprire (forse) il punto di vista dell’autore, specie partendo da quello di lettore al femminile che ha dato peso al proprio padre, non ha attraversato nel contrasto il «deserto dell’adolescenza», non ha vissuto con il padre un conflitto, non l’ha indotto a lacerarsi una camicia dal dolore; un lettore, dunque, che rientra nella «direzione conforme» presa dai germogli umani, ma che non ha a sua volta prolungamenti.
Se Il torto del soldato mi ha catapultato in una dimensione lacerante difficile da condividere, Una cronaca – che si fa Storia mentre racconta di un uomo che incarna la paternità – mi ha riportato a sfogliare cartelle d’archivio, in cui il primo documento che si incontra è l’ultimo testimone della vicenda. E Un’espressione artistica mi ha lasciato a riflettere, di fronte alla metafora del buco lasciato dall’ombrellone nella sabbia: quegli anni della contestazione - il buco rimasto a riempirsi di sabbia - sono stati miei, anche se non contestavo.