passare oltre

Ricordo l’emozione suscitata da questo romanzo ai tempi adolescenti in cui lo lessi per la prima volta e mi lasciai coinvolgere dal sentimento struggente e puro di Liza Kalìtina per Fjodor Lavrètskij; con tutta me stessa disapprovai la nobiltà d’animo della rinuncia e l’assenza di ribellione a quanto imposto dalle convenzioni.
Nella recente rilettura, tutto ciò mi è apparso di nuovo, ma come sospeso in una nuvola irreale, mentre hanno preso rilievo gli altri “abitanti del nido”: personaggi secondari ma determinanti nello svolgimento delle scarne e quotidiane vicende.
Quindi, Varvàra, moglie di Fjodor, tanto bella e sofisticata quanto scaltra e finta, capace di deridere con un complimento, irritante fino alla nausea; Lemm, insegnante di musica tedesco con cui Fjodor prova a instaurare un legame di amicizia, inutilmente perché «colui che è stato sfortunato, anche da lontano riconosce un altro sfortunato, ma quando è vecchio, difficilmente simpatizzerà con lui; e questo è logico perché con l'altro nulla potrà dividere, nemmeno la speranza». E ancora la vecchia zia Marfa Timofeevna, l’antico compagno di studi Michalèvich apparso sulla scena per discutere del tipico dilemma tra inerzia e attivismo.
Ho in sostanza apprezzato meglio l’affresco e, forse, il senso di quel «passare oltre» che come una lapide chiude il romanzo: mi è parso di cogliervi il fascino del non detto, del suggerito.