segnali


Ho scritto quattro libri, tutti per raccontare di loro – i miei cani, e non solo – nel mio mondo piccolo.
Li ho scritti pensando al loro carattere così diverso, alle loro reazioni – opposte – di fronte a eventi simili o uguali.
Li ho scritti immaginando tutto del loro parlarsi.
Li ho scritti confidando sia possibile accada davvero, con la razionale consapevolezza che non lo è.
Eppure.
Eppure ci sono segnali, sui quali talvolta si tende a fantasticare, di fronte ai quali si commenta increduli («Ma sì, figurati!»), guardando i quali ci si rende conto che potrebbe essere, davvero.
Quando scrivo o sono comunque al computer, Giatt sta sempre con me, sotto il tavolo.
Questa mattina, senza un motivo apparente, si è alzato dal pavimento dove cercava un po’ di fresco e mi si è avvicinato.
«Che c’è, piccolo? Non stai bene?»
La mia paura più grande è questa: terrore e panico si impadroniscono di me, perdo il controllo, temo l’irreparabile e il nastro delle malattie incurabili si svolge davanti agli occhi, ottunde vista e raziocinio.
L’espressione di Giatt mi ha rassicurato: tutto tranquillo, ha detto; tuttavia, l’espressione dello sguardo, le pieghe della pelle del volto (muso, per i puristi) mi hanno convinto che mi volesse dire qualcos'altro, ma cosa?
«Che c’è, piccolo? Dimmi!»
Il naso di Giatt si è allungato verso lo scatolino di legno che sta alle mie spalle, sopra un ripiano della libreria, a portata di mano mia e occhi suoi. 
Lì dentro c’è quel che resta di Pedro.
Dunque, Pedro era qui, questa mattina, con noi; mi stava ringraziando per un’azione compiuta, e Giatt era l’unico a saperlo, a sentirlo, a potermelo dire. 
E me lo ha detto.

I quattro libri che ho scritto sono libri solidali. Maggiori notizie qui.