senilità

Ho tolto dallo scaffale questa vecchia “edizione integrale” di Senilità, di Italo Svevo -  i david dall’Oglio, copertina di Roberto Borioli, datata 1965 - e ho rivisto papà che compiva il medesimo gesto di allora: mi porgeva il volume e mi suggeriva di leggerlo, perché poteva essere utile per l’esame di maturità.
Correva l’anno 1975… e Svevo fu proprio uno degli autori “usciti” per il tema d’esame. Dovetti scegliere quello di argomento generale: non solo non avevo letto Senilità, ma Svevo stesso neppure era stato sfiorato nello svolgimento del programma scolastico; a malapena avevamo studiato qualcosa della triade Ungaretti-Montale-Quasimodo. Non voglio pensare al tempo perso quell’anno in innumerevoli giorni passati ai giardini, invece che in classe, per un allarme bomba, una manifestazione, uno sciopero imposto dai picchetti all’entrata del “Carducci”.
Forse oscurato da qualche strana nebbia del tempo, forse perché il titolo mi aveva attirato poco all’epoca e in seguito, Senilità è rimasto lì per decenni. L’ho ripreso in mano e letto solo di recente, in età non proprio senile, ma quasi e forse per questo il paradosso della senilità a trentacinque anni, cioè nel pieno vigore fisico, mi ha coinvolto tenendomi sospesa, fino a quando Amalia, «mite, buona e sventurata com’era», ruba la scena a tutti, morendo dopo un’agonia lunga e farneticante. La ruba al fratello Emilio Brentani (impiegato, autore di un unico romanzo) cui pare, forse, rimordere la coscienza per la scarsa considerazione in cui l’ha sempre tenuta e la vita naturalmente dura, vissuta; la ruba all’inconsapevole oggetto del suo amore, Stefano Balli, (scultore) l’artista fortunato cui tutto pare piovere dal cielo, prova – per lei – dell’esistenza di una vita diversa, felice; la ruba, oscurandone i tratti fisici così ammalianti per Emilio, ad Angiolina la donna prosaica e spesso greve, abile giocatrice di schermaglie amorose, della quale suo fratello si è invaghito.
Fino a quando Emilio scopre Amalia ubriaca e poi delirante, posso dire di aver letto con uno sguardo ironico, pensando alla modernità di un uomo di trentacinque anni – oggi si direbbe “ragazzo” – impreparato ad esistere che, alla donna con cui vuole intrecciare una relazione, dice: andiamoci cauti, ma per il tuo bene; estrema sintesi di qualche maschio dei nostri giorni. E posso dire di aver letto pensando a una certa modernità di Angiolina, nel modo in cui propone le proprie gioventù e bellezza. Poi il dramma di Amalia mi ha sopraffatto e coinvolto davvero.

«In segno di omaggio e ammirazione» l’editore riporta la premessa in cui Svevo (1° marzo 1927) ringrazia Joice, che l’ha sostenuto, Montale, che ne ha scritto uno studio, e concorda con Valéry Larbaud sulla dubbia attinenza del titolo: «Anch’io, che so ormai che cosa sia una vera senilità, sorrido talvolta di aver attribuito ad essa un eccesso in amore […] Mi sembrerebbe di mutilare il libro privandolo del suo titolo che a me pare possa spiegare e scusare qualche cosa. Quel titolo mi guidò e lo vissi».