un altro promo racconto

Dopo tanto lavoro, la piana dell’orto è ricostruita.
Era crollata in una notte di pioggia battente, a gennaio e, quando ce ne siamo accorti… ci siamo proprio scoraggiati: io infilavo esclamazioni di disappunto e dispiacere, Andrea ammutolito pensava a tutto il lavoro speso lì sopra, franato. Anche la balconata delle fragole era malmessa perché il sistema di pali, a cui era ancorata, era stato travolto dallo smottamento che, se fosse proseguito, avrebbe distrutto tutto. C’è voluto tempo: per pensare a come rimuovere il disastro, per mettere in sicurezza il rimasto recuperando il possibile, per organizzare il ripristino e poi, operare.
Siamo a maggio e, con le rose canine color cipria che si stendono lungo la riva dei pomodori ancora tutti da piantare, la piana è lì, in attesa di assestarsi – per quest’anno non produrrà – e i vasi delle fragole sono di nuovo al sicuro.
Manca ancora il ripristino del piccolo impianto di irrigazione, pensato per garantire la giusta umidità con un corretto afflusso di acqua. Per il momento, è compito mio innaffiare le fragole con una canna dotata di doccione a pioggia: controllo lo stato di maturazione, elimino erbe infestanti, gioco con l’acqua, tutto con grande comodità perché i vasi sono ad altezza vita. Giatt mi gironzola intorno, mentre controlla i passaggi delle numerose lucertole che lo prendono in giro, secondo lui, con improvvise apparizioni e repentine sparizioni.
Dalla retina verde, che in parte protegge i frutti dai becchi di uccellini golosi, ho visto spuntare qualcosa di anomalo: scuro, con delle macchie gialle e verdi. Il primo istinto è stato quello di usare l’unica “arma” che avevo in mano, l’acqua.
La punta di una lingua biforcuta è uscita dalla bocca della povera biscia rimasta intrappolata nelle maglie, troppo strette per liberarsi da sola. Forse beveva (anche le bisce bevono, o no?), forse chiedeva aiuto, di sicuro non potevo lasciarla lì così, intrappolata, agonizzante.
«Andrea! C’è una biscia da liberare, è viva!»
Da impiccione qual è, Giatt ci ha subito ficcato il naso per controllare il taglio della rete.
La biscia si è spaventata ancor di più e ha iniziato a muovere la parte posteriore del corpo, disegnando arabeschi sulle foglie delle fragole, sbattendo sui bordi dei vasi.
In quel momento ho deciso, no, non è esatto: non è stata una decisione.
In quel momento ho seguito il mio istinto.
E no, non le ho parlato.
Mentre Giatt pensava (con espressione evidente): «Era ora che lo capissi», sotto lo sguardo allibito di Andrea (che era certo non l’avrei mai fatto), ho preso delicatamente la coda della biscia per evitare che si tagliasse sulla lama del coltello, mentre era in corso la liberazione.
Con forza, uno strattone via l’altro, ritmato e deciso, Serbis (subito battezzata) ha tentato di liberarsi e se l’è pure fatta addosso dalla paura.
Sempre l’istinto mi ha detto di calmarla in qualche modo.
Ho iniziato ad accarezzare piano quella pelle per niente viscida, anzi, morbida, quasi setosa, quella pancia delicata ma tonica che nel giro di qualche secondo ha smesso di strattonare e si è calmata per abbandonarsi alle carezze e alle cure.
Ha capito. Una biscia ha capito le mie intenzioni attraverso il tatto.
Una volta tagliata tutta la rete infingarda, ho mollato la presa e ho controllato Serbis scivolare lenta e fiduciosa sotto la fragolaia. È sparita nell’erba, con un grazie appena percettibile nel fruscio.

Della nostra vita nell’orto, ma non solo, racconta Estemporanea. Scritture brevi con quadri d’autore (di cui si può leggere qui). Acquistandolo, aiuterete cani sfortunati.  Nell’immagine  non patinata, ma reale e realistica, i nostri vasi di fragole. Cosa sono quelle foglie dietro? Aglio.