un libro fondamentale


Un librino solo nelle dimensioni, questa «calibrata selezione [di scritti] che nel loro insieme si configurano come un vero e proprio trattato sull’unica religione cui la Ortese sia stata caparbiamente fedele: la religione della fraternità con la natura».
Così Anna Borghesi, che l’ha curata, la presenta nell’edizione Adelphi 2016.

Sono pagine dense; poetiche quando racconta dei suoi animali, interessanti quando argomenta e discute, specie se si rapportano all’epoca in cui sono state scritte: dal 1940 al 1997, decenni in cui – accanto alla guerra, alla ricostruzione, al boom economico, all’avvento del benessere, ai sacrifici e sudore e fatiche di tanti – si percorreva inesorabilmente, «sotto la stella dell’utile», una china devastante verso la perdita di coscienza morale, non ignota all’uomo ma «supremamente impopolare». China lastricata di antropocentrismo, di ricchezze che allontanano dalla «felice civiltà», di sordità alle voci della natura e ai bisogni degli esseri più poveri e deboli, di indifferenza, di azione volta solo al proprio interesse nel totale disinteresse verso le Piccole Persone.

Lo scrive maiuscolo: gli Animali sono Piccole Persone, fratelli diversi, con una faccia, occhi che esprimono un pensiero, con una sensibilità, chiusa perché non si esprime con il raziocinio della parola e dell’orgoglio di sé, capaci di provare dolore fisico. Dalla loro sofferenza, provocata dalla mano umana, inizia l’inumano, la degradazione della terra.

È un male atroce quello perpetrato nei loro confronti, ovunque (dagli allevamenti alle pubbliche vie) e in molti modi, tutti giustificati dalla convinzione che gli animali non abbiano un’anima, tutti protetti dalla certezza della impunità, sminuiti a «scherzo» tollerabile se commesso da un ragazzino che (ad esempio) svuota un nido delle uova, le schiaccia, lo riempie di escrementi umani e si diverte ad osservare le reazioni dell’uccello-madre. Resta lo sconcerto della constatazione: non c’è alcuna comprensione dell’altro, non c’è mansuetudine, solo la demente vanità con cui l’uomo distrugge o usa le altre creature convinto di possederne il diritto in base a una sancita qualità.

Ma quale?

«E morire, oppure semplicemente lasciar cadere la penna senza averne mai parlato, sarà vergogna suprema per uno scrittore».