rileggendo il Rotary

il Rotary, cos'è?

Una congrega di affiliati a strane sette, signori di trame occulte? La prima associazione di idee che comunemente si attua è con la Massoneria. E nel 1928, cinque anni dopo la nascita a Milano del primo club in Italia, i gesuiti lo definirono tale, sollevando un dibattito che accese gli animi, provocò reazioni indispettite, ma si risolse nel volgere di qualche mese, nell’anno dei patti con il Laterano, funzionale a un ordine di cose in fieri.
Se ancora serve a distinguere vero da falso, la Storia può dare alla domanda una risposta forse non univoca, di sicuro circostanziata; ma come raccontare la vicenda?
Quando me ne occupai, presidente del club di Milano Centro era Pier Giusto Jaeger e la sua riposta, volutamente paradossale, fu: «un gioco per adulti», con regole precise e uno scopo da raggiungere, cioè aiutare il prossimo, ciascuno come può.
Ne dedussi che la socialità fosse la categoria cui avrei potuto ricondurre ricerca e analisi. E così feci, cercando di capire e raccontare in base a quali comuni intenti, occupazioni, interessi si radunassero i migliori tra gli uomini delle professioni, per darne un’immagine complessiva e di questo soggetto collettivo scrivere una biografia.
Mi affascinò subito la possibilità di ricostruire le scelte e i riferimenti etici adottati da questi esponenti di una società borghese in fase di affermazione, attraverso l’utilizzo di una categoria storiografica per lo più utilizzata per studiare i ceti popolari. E mi interessò anche provare a capire come e quanto l’influenza internazionale dell’organizzazione aveva inciso sul localismo ambrosiano.

l'insocievole socievolezza

La filosofia dell’eccellere elaborata dai fondatori rotariani anglo-milanesi del 1923 mi sembrò avere singolari consonanze con alcuni insegnamenti di Escrivà de Balaguer.
Mi riferirono che, leggendo a pag. 50 la teoria in argomento, alcuni soci avevano avuto un sussulto, a malapena mascherato dall’aplomb tipico del club.
Chi aveva influenzato chi? Che ruolo aveva svolto questo circolo di migliori in una città come Milano, con il suo particolare rapporto tra politica e classi dirigenti, il suo ombroso particolarismo, la sua originalità? Perché un Rotary Club a Milano nel 1923? E come, dal 1945 in poi? Quanto e cosa dell’«insocievole socievolezza» con cui Kant riconciliava individuo e comunità fu presente nello spirito rotariano?
Nel libro si possono leggere ipotesi e tesi suffragate da analisi storiografica ed esame della bibliografia sull’argomento, ma per raccontarlo qui preferisco una narrazione diversa, attraverso uomini e argomenti che maggiormente vi appaiono.

uomini e idee
Achille Bossi

Originario di Intra, avvocato, indiscussa anima dell’associazione, conosce l’irlandese ing. Culleton che gli parla del Rotary e lo coinvolge attivamente nel radunare altre personalità attorno all’idea di fondare un club nel capoluogo lombardo.
Il rapporto tra principio del service e mentalità meneghina è complesso e necessita di frequenti mediazioni tra scontri sul superamento delle differenze di ceto sociale e incontri sui concetti di prestigio e competenza. Il compromesso si trova nel principio guida dei capifila delle professioni; tra loro saranno scelti dai soci, e proposti all’approvazione, i nuovi ingressi.
I convenuti si trovano al Caffè Cova, al tavolo cosiddetto “Stato di Milano”, riservato alla borghesia imprenditoriale. È il 23 novembre 1923.
Nominato segretario generale per l’Italia, Achille Bossi si adopera per associare le migliori professionalità, animate da una sorta di umanesimo militante e cerca di mediare le direttive americane con i valori ambrosiani: il buon senso, l’onestà, il bene reciproco, le agapi famigliari è meglio non si occupino di questioni di pertinenza degli Stati, in modo particolare di politica estera. Stile predominante: la sobrietà.
Fine ultimo è la necessità di non urtare il regime che nel frattempo intensifica i controlli, nonostante i pallidi rapporti e le smentite – a volte persino laconiche – della Prefettura cittadina. Il club incrementa le riunioni e cerca di resistere.
Alla proclamazione delle leggi razziali decide, il 15 novembre, di sciogliersi.
Lo scioglimento è comunicato nell’ultima riunione del 20 dicembre 1938 ai pochi presenti al tavolo del Tantalo, gli stessi che firmano sul menù del giorno la promessa reciproca di ritrovarsi. Bossi, Borletti, Castelli, Chiodi, Gavazzi, Guasti, Nodari, Portaluppi, «con gli occhi buoni colmi di lacrime», continuano a incontrarsi dove e come possono.
Nel lungo e gelido inverno 1944, la guerra sembra non finire mai. Achille Bossi vive sul Lago Maggiore e saltuariamente si reca a Milano, la città delle quattro effe «famm, frecc, fumm e fastidi»: distrutti monumenti palazzi e tessuto sociale. Tutti sono stremati, molti amici sono spariti, gli uomini di una volta sono sempre di meno: quali saranno i sostituti? Avranno la tempra dei padri?
Unico modo per reagire al clima opprimente è provare a immaginare il futuro, la ricostruzione; ma come? Il panorama è desolante: debolezza, contrasti, incertezze nella scelta istituzionale; Achille Bossi dubita della capacità degli «italiani corrotti, ladri, egoisti, antisociali, prepotenti, e vili di oggi» di esprimere il più alto civismo e la migliore coscienza morale necessari alla forma repubblicana ed è molto critico sull’aristocrazia ambrosiana, inadeguata al compito impegnativo che attende tutti.

e gli altri

L’uscita dalla clandestinità è lenta, ma appena possibile, smette di scrivere il diario che ha tenuto durante la guerra e riprende l’azione: prima commissario speciale per la ricostituzione del Rotary in Italia, poi governatore del 46° Distretto, con il compito di rendere l’associazione il nucleo aggregante delle migliori forze del lavoro, e “ambasciatore” all’estero: è indispensabile in quel momento l’accordo con gli americani per i quali «fare il rotariano» è un modo per contribuire al ristabilirsi della pace, attraverso l’amicizia, il servizio e la diminuzione delle differenze sociali. E Milano si trova sulla strada maestra del mondo in ripresa.
Con un atteggiamento tipicamente milanese i rotariani riprendono a lavorare ma tralasciano di presenziare alle occasioni sociali. Arnoldo Mondadori, ad esempio, dichiara di non aver mai preso troppo sul serio le riunioni del club: meglio concentrarsi su fattive opere umanitarie e sociali. Quale può essere più pertinente della casa nella città più distrutta d’Italia?
I soci Chiodi, Semenza, Danusso, Gadola, Portaluppi e Giò Ponti ne discutono animatamente, parlando di case collettive, del piano Fanfani (il Paese si riempirà di case, ma quali?), delle unità di abitazione di Le Corbousier. E poi del piano regolatore, della necessaria correlazione tra edilizia e urbanistica, dei criteri seguiti nei restauri… la voce di Giò Ponti che incarna l’avanguardia e non perde occasione per proporre, spiegare, illustrare, non trova supporto nei tanti ingegneri presenti tra i soci, alcuni padri fondatori del Politecnico, il cui funzionamento è vitale per recuperare la qualità degli studi.
La gioventù studiosa è particolarmente cara al club che offre borse di studio e viaggio agli studenti delle scuole professionali industriali e a giovani laureati specializzandi.
Anche la riorganizzazione della Fiera è opera di Achille Bossi che con Mario Negri, Tommaso Zerbi, l’on. Gasparotto e il comm. Majnoni nell’estate del 1945 aveva cercato i fondi necessari alla ripresa delle manifestazioni. I rotariani ne parlano poco, ma la sostengono e si schierano compatti a favore delle teorie liberali, Luigi Einaudi per loro è un’icona; Keynes, di cui parla ai soci Ferdinando di Fenizio, non è amato.
I rotariani sono tuttavia aperti al confronto con le nuove tecnologie in ogni campo, da quello industriale a quello agricolo, pronti a discuterne, esperti nel valutarle e nell’adattarle al mercato e alla struttura produttiva italiana.
Ampio è lo spettro degli argomenti di discussione. L’energia aggregante è il lavoro e il tratto distintivo come aspirante classe dirigente è l’alto grado di competenza professionale.
Concreti, sostenuti da un’alta coscienza civile, credono nel valore della professione produttiva svolta onestamente, nei principi professati, nel Rotary, riflesso delle loro capacità e strumento di azione.

nella ruota dentata, lo spirito del progresso

La politica è invece il punto dolente: chi riconosce come propri punti di riferimento ideale Croce e Vittorio Emanuele Orlando, è e si tiene ben lontano dalle nuove logiche politiche di quegli anni.
È il 1953 ed è appena stata approvata la cosiddetta “legge truffa”. Poco prima di essere eletto presidente del Senato, Merzagora ricorda ai soci l’antica abitudine (o vizio) ambrosiano di tenersi lontani dalla politica attiva. Lo dice chiaro ai colleghi: il loro mondo, di produttori professionisti commercianti intellettuali lì raccolti, non conta niente nella vita politica del Paese perché a Milano la politica «è considerata come la nettezza urbana, un mestiere deteriore» e le decisioni determinanti non si prendono a Milano.
Milano però – grazie agli enti locali e all’iniziativa privata – fornisce ai propri cittadini quanto è doveroso, si attrezza a svolgere il ruolo di meta dell’immigrazione industriale e del pendolarismo del terziario. E i rotariani discutono tra loro come ottenere i risultati migliori.
Arturo Danusso tiene i contatti per la visita al club del nuovo arcivescovo, Card. Montini. Il Rotary è per Montini l’ambiente istituzionalizzato di ciò che limita il pieno esplicarsi del senso della professione, cioè rifuggire il problema religioso. Per il suo discorso al Rotary sceglie l’argomento della Missione straordinaria per Milano, opera di diffusione della dottrina religiosa che coinvolge circa 1200 sacerdoti; e arriva al punto per lui dolente del volersi porre al di sopra della religione. I cardini, i principi primi della borghesia italiana sono «fragili, mobili, imprecisi» e inadatti al ruolo ambìto. Il discorso è severo ma l’intento è proteso a raggiungere una consonanza di scopi. Diventato Paolo VI, nelle parole che riserva ai rotariani in udienza, continua a seguire e indirizzare.
La caratteristica dell’internazionalità del club – curata da Achille Bossi nell’immediato dopoguerra – riprende a suscitare interesse alla firma dei Trattati di Roma, nel 1957, quando si apre il Mercato Comune Europeo e il club si richiama alla vecchia fede nell’integrazione europea di Alberto Pirelli. Nel clima dell’incipiente unità europea il progetto di creare una Maison de l’Italie alla Cité Universitaire di Parigi concentra e concretizza gli sforzi per crescere e istruire le future classi dirigenti: Enrico Falck è presidente del comitato promotore, Borletti salda il conto finale. E poi il progetto IARD: individuazione e assistenza ragazzi intellettualmente dotati. Nato da uno scambio di idee tra Franco Brambilla e Pier Paolo Luzzato Fegiz, volto a sostenere con borse di studio i meritevoli economicamente disagiati, finalizzato a facilitare il proseguimento degli studi secondo le vocazioni diventa motivo di orgoglio sbandierato ai colleghi americani: questa volta vi abbiamo preceduto. Tutti i settori produttivi della città, tutti i club italiani ed esteri avevano discusso il progetto che era pronto a oltrepassare i confini della provincia di Milano e diventare l’osservatorio nazionale più accreditato.
I segni dei tempi che si manifestano nelle proteste giovanili del ’68 sono letti e meditati: la strada della ragione, della libertà dell’uomo, della comunità di cittadini, della rilettura della Costituzione come un breviario laico fino alla deflagrazione di piazza Fontana. Non si può più evitare di discutere di politica e cosa pubblica. Non si può essere pedine in mano altrui, ma neppure spettatori inerti: che senso avrebbe avuto il servizio rotariano alla società? Il disordine lancia una sfida lunga anni e l’imprenditore-manager cerca di cogliere l’attimo e ricondurre alla coerenza le proprie azioni, con serietà morale e consapevolezza sociale, sostiene senza paura la novità dell’antico.
Alla fine degli anni ’80, con il crollo del muro di Berlino, con tutto quanto significa e ne consegue, essere rotariani diventa entusiasmante. Prima di Mani Pulite.