©Amelia Belloni Sonzogni

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Come stai?

Chissà Nella, come sta. Non la sento da parecchio.

Certo, potrebbe chiamarmi lei qualche volta… Non importa, le telefono io.

Ma il suo numero? Pensare che me lo ricordavo a memoria, anzi, me lo ricordo: 230117, ma è il numero della vecchia casa, quando abitava qui vicino. Quello nuovo?

Ah, la memoria… comincio ad avere dei buchi e, quando parlo, a volte mi manca la parola: la sento che spinge ma non esce, neanche avessi un cerotto sulla bocca.

Nella, invece, si ricorda sempre tutto. Eppure, è più vecchia di me. Di quanti anni non lo so, non me lo ha mai detto. Ogni volta che provo a chiederglielo, cambia discorso, fa finta di niente. Avrà stretto un patto con il diavolo? Oppure è solo vanitosa? Che senso ha, dopo i sessanta, nascondere gli anni? Quando si va in pensione, l’età è palese.

Ma dove avrò messo la rubrica telefonica?! Eccola, sotto il telefono: logico.

Mi metto in poltrona. Quando il telefono era in anticamera, appeso al muro, il più delle volte stavo in piedi, poi, dato che sono una chiacchierona, ho iniziato a portarmi una sedia dal tinello. Se non altro, adesso è più comodo, poggiato sulla credenza.

Allora, cerchiamo: enne, Nella, 6880698. Ormai ha traslocato da qualche anno e non sono mai stata a casa sua. Certo è incredibile, però non posso autoinvitarmi e con la scusa che ci vediamo sempre d’estate, al mare, va a finire che non mi inviterà, scommettiamo?

Suona libero…

— Pronto?

— Ciao Nella! Sono Piera, come stai?

— Piera! Pensavo di chiamarti, poi, con tutto quello che ho sempre da fare… come stai?

— Bene, a parte i malanni. Ma non siamo mica inglesi: how do you do, how do you do all’infinito. Stai bene?

— Eh? Ho studiato francese, a scuola. Di quali malanni parli?

— A quali eri rimasta, nell’ultima telefonata? Ti ricordi? Io no.

— Mi pare alla menopausa…

— Ah, sì, quella! Non ti dico le caldane: una via l’altra, ogni mezz’ora e grondo sudore, gocce di pioggia su di me. Sai la canzone? No, eh. Era per sdrammatizzare. Tu le hai?

— No, ne ho avuta solo qualcuna i primi tempi.

— Che fortuna! Ormai soffro da anni! Ma, senti, a proposito: tu quanti anni hai? Sai che non me lo hai mai detto? Ci siamo conosciute quando le nostre figlie erano in carrozzina, nate a due mesi di distanza prima la tua e poi la mia; perciò, dovremmo essere più o meno coetanee. O no?

— Eh, più o meno… cosa dicevi, delle caldane?

— Non so più come fare. Mi sento orribile e, quando devo uscire, non ho un vestito che mi stia bene tanto sono appesantita. Tu come fai?

— Esco pochissimo.

— Male! Vieni da me un pomeriggio, così poi ricambio la visita. Che ne dici?

— Verrei volentieri, ma tra pochi giorni, pagate le tasse, mia figlia ci accompagna al mare; devo preparare ancora tutto. Venite anche voi, vero?

— Sì, come sempre in agosto; sai che a luglio andiamo al lago. Mi farebbe piacere salutarti prima, di persona.

— Se trovo un po’ di tempo per mettermi in ordine…

— Ma come?! Non è sano trascurarsi. Io vado dal parrucchiere una volta a settimana, non si discute!

— Io, invece, ci vado due volte l’anno: taglio estivo, taglio invernale. Non mi tingo più.

— Davvero?

— Molto più pratico, soprattutto al mare, mi vedrai.

— Oh, certo! Con il peso come va? Io quasi non mi riconosco più. Porto la 56, e tu?

— Non saprei dirtelo, non so da quanto non mi compro vestiti. Indosso quelli che ho, quelli che mi vanno bene.

— Mi avevi detto di avere iniziato dei trattamenti di bellezza; ti mettevano sotto una specie di catafalco per sudare. Sei dimagrita?

— Sai che non mi ricordo?

— Cosa?

— Di essere andata sotto un catafalco per dimagrire e neanche di avertelo detto.

— Ti assicuro che me l’hai detto.

— Sarà…

— Ti ricordi Lorenza?

— Mi pare, sì. Era la tua vicina di casa quando abitavi in via… aspetta, che via era?

— Via… quella che passa dietro la stazione… possibile non mi ricordi dove ho abitato?

— Via Rombon!

— Brava, lo sapevo che tu ti ricordi tutto. Dicevo? Ah, sì, Lorenza.

— Mi raccontavi quello che combinava: gli schiamazzi erano la cosa più gradevole.

— Sai cosa le è capitato?

— No, cosa?

— Pare sia diventata muta.

— Ma dai?! Una bella legge del contrappasso, per una capace solo di sbraitare e dar fastidio. Una malattia?

— Stanno indagando, esami, controlli, persino uno psichiatra! Ma lei non parla; non si capisce cosa l’abbia provocata. I vicini, quelli rimasti là, dicono che si è alzata una mattina, muta. Pensavano fosse morta. Di solito svegliava tutti, a urla e strilli; da quel giorno è muta!

— Chissà che pace! Ha preso un colpo in testa, forse?

— Dai, non farmi ridere! Certo è strano il corpo umano… da un giorno all’altro, senza avvisaglie, può accadere di tutto. E ti sentivi benissimo fino a un attimo prima.

— Un tempo si diceva “gli è preso un colpo”. È quello che capiterà a me.

— Ma cosa dici!?! Sei sana come un pesce! Quando ti vedo al mare, nera come un tizzone, sei il ritratto della salute: sempre in acqua a nuotare!

— Dovresti venire anche tu!

— Lo sai che ho paura. Non vado dove non tocco e, anche dove tocco, mi devo attaccare a qualcosa.

— Puoi aspettare un momento? Ho una cosa sul fuoco…

— Certo, vai pure.

— Eccomi. Avevo messo a bollire le siringhe.

— Usi ancora quelle di vetro?!

— Sì, perché?

— Ci sono quelle sterili, usa e getta.

— Mi trovo bene con quelle, anche se sono bacucche. Le usavo per le iniezioni di B12 a mia figlia che, appena le vedeva, provava a nascondersi ovunque, persino dietro la poltrona verde ereditata da mia suocera, capirai che nascondiglio…

— Ma adesso, fai iniezioni a chi? Per cosa?

— A me per un attacco violento di sciatica che ho avuto circa due settimane fa. Non riuscivo ad alzarmi dal letto; devo terminare la cura. Dici ancora che sono il ritratto della salute?

— Lo dico sì! Quante pillole prendi al mattino?

— Una, per la pressione.

— Lo vedi? Io, invece, una manciata e non ti sto a elencare per cosa le prendo perché non me lo ricordo. Però se sbaglio è un disastro! Mia figlia mi sgrida.

— Tua figlia si preoccupa, come la mia, che scappa ancora quando mi vede con la siringa in mano, anche se non è per lei.

— Ma c’è qualcuno che te le fa, queste iniezioni?

— No, uso una macchinetta.

— Te le fai da sola?! Sei un fenomeno. Quante volte sei stata operata?

— Per ora nessuna, facendo i debiti scongiuri.

— E in ospedale, ricoverata? Quante volte?

— Devo pensarci, aspetta… quando ho partorito.

— Ecco, vedi? Io invece non le conto neanche più… e ho una visita prenotata da un gastro enterologo perché ho spesso una sensazione di nausea, neanche fossi incinta.

— Non mi capita mai. Mio marito dice che digerisco anche i sassi.

— Lo so, lo so, sei una buona forchetta.

— Ho appetito…

— Sono preoccupata. Avrò qualche brutto male?

— Non potrebbe essere solo un problema di alimentazione?

— In che senso?

— Alla nostra età, bisognerebbe magari fare più attenzione…

— Alla nostra età, tu quanti anni hai?

— … bisognerebbe mangiare meglio.

— Sono in ansia, la notte non dormo o dormo poco e male. Sveglio mio marito, che mi ascolta. Gli racconto i miei incubi: stanotte, ad esempio, ho sognato di diventare un mostro.

— Addirittura!

— Sì! Una vecchia bruttissima, enorme e tutta storta! Saranno i reumatismi? L’artrite deformante? E se divento incontinente? Ma ci pensi?

— No, per il momento non ho sintomi di questo tipo.

— Beata te! A me capita, quando starnutisco forte.

— A me capitava, invece, che mio marito mi svegliasse in piena notte perché pensava di avere la febbre. Ora non più, ma abbiamo vissuto per anni con il termometro sul comodino, se la misurava e non si calmava se non lo leggevo anch’io: 36,5 al massimo 37, che non è febbre, ma lui si allarmava: «Ecco, vedi, un rialzo». Un tormento, piuttosto!

— C’era un motivo, però.

— Sì, temeva ancora le conseguenze di quanto aveva patito in prigionia, ma dopo decenni era diventata una forma di ipocondria, secondo me.

— Vuoi dire che io sono ipocondriaca?!

— Ma no! Fai bene a tenerti controllata. Come si dice, quando c’è la salute, c’è tutto.

— È così; banale ma vero. Stare bene è anche non aver pensieri brutti. La malinconia è un pensiero brutto persistente, e io ne soffro. Sarà depressione?

— Non dirmelo, anch’io ne soffro, con l’aggravante del rimpianto; dico sempre «se solo…» e mio marito me lo rimprovera, sempre. Brontolo per ciò che non è stato, per ciò che non ho fatto: ho rimandato, e rimandato, e rimandato.

— Allora è tua la responsabilità.

— Dici?

— Dico!

— Senti, Piera, ora ti devo proprio lasciare. Ci risentiamo presto.

— Speravo di sentirti dire: ci vediamo presto…

— Al mare, di sicuro. Ciao, Piera.

— Ciao, Nella.

 Mia la responsabilità, dice Piera? No, mio il sacrificio! Per mio marito, mia figlia, la casa, il lavoro, il risparmio. Come sto, mi chiedono; come sto? E chi lo sa? L’aspetto è florido, non sono mai stata cagionevole di salute, quando mi prende un raro malanno, guarisco ancora alla svelta. E la salute dell’anima? Di quella non abbiamo parlato. Sarà per la prossima telefonata. Intanto, ho un sacco di cose da fare.

[in Generazione Over60, giugno 2023]

©Amelia Belloni Sonzogni