©Amelia Belloni Sonzogni
Settembre, 1972
Era ancora estate, anche dopo il 21, anche se i bagnini avevano già smontato quasi tutte le cabine, chiuso e radunato quasi tutti gli ombrelloni che stavano là, ammucchiati uno sull’altro, appoggiati a un muretto, in attesa di essere portati in un deposito. Poco distante, un addetto spogliava le sdraio, separando le barrette sfilate dalle tele multicolori, tutte da lavare, e accatastando gli scheletri di legno, appoggiati allo stesso muretto.
Era ancora estate per i pochi ragazzi che si godevano gli ultimi giorni di vacanza nell’attesa del nuovo primo giorno di scuola, tutti radunati vicino alle poche sdraio lasciate intere per loro e le loro famiglie, le poche in grado di pagare il servizio per l’intera stagione.
Sui costumi, le magliette attendevano di essere sfilate al primo raggio di sole più caldo, abbandonate sul telo di spugna, steso sulla sabbia, sul quale appiattirsi bagnati, appena usciti dal mare, per rubare il calore del sole sopra qualche brivido negato. Freddo? Ma quando mai! Si doveva fare il bagno fino all’ultimo giorno, cascasse il mondo!
– Il sole dei mesi con la erre fa male, lo sai, Eleonora?
– Sai cosa ti dico, Paola? Non me ne frega niente! Voglio tornare a Milano abbronzata e far morire di invidia tutte le spitinfie che ronzano attorno a Luca.
– Ma poi, lo hai finalmente incontrato a quella festa?
– Macché! La festa è saltata: non si trovava mai il giorno giusto. Lo vedrò a scuola.
– Resterà abbagliato dal tuo splendore…
– Ne sono certa… ma che fai, sfotti?
Tutto il gruppetto sorrise allo scambio di battute, ironiche ma con uno schizzetto velenoso appena percettibile. Carlo chiese l’abituale sigaretta che nessuno gli diede; si alzò per andare a cercarla altrove. Andrea si incantò a guardare il mare, gli occhi azzurri persi nel blu. Gianni e Rita si abbracciarono più stretti: per loro, l’attesa del rientro in città era un conto alla rovescia fino al momento del distacco, della distanza, dei mesi lontani in due luoghi distanti, mesi trascorsi nell’attesa di ritrovarsi ancora lì, su quella spiaggia.
Aspettavano tutti insieme il momento giusto per l’acqua più tiepida possibile e per nuotare, il più possibile: era finito il clima adatto ai tuffi continui, alle gite in barca nel caldo mare di agosto, alle nuotate al tramonto; stavano per finire i momenti spensierati nei quali importava solo inventare modi nuovi per divertirsi, decidere dove andare dopo cena: cinema? gelato? discoteca? passeggiata lungomare o tutti a casa di…?
Allungavano le gambe sulla sabbia, tendevano le braccia appoggiate alle mani per sostenere la schiena e raccogliere meglio i raggi più obliqui.
Eleonora abbandonò la testa indietro per goderseli meglio, senza pensieri; cadde la massa di tutti i suoi riccioli. Voleva il vuoto nella mente, perché l’attesa si prolungasse, e un’abbronzatura fresca, a testimonianza del suo stare al mare fino all’ultimo minuto prima che le porte del liceo si riaprissero e il grigio tossico milanese la inglobasse in un pallore giallognolo. Fare il vuoto nella mente, però, non era così semplice perché tensioni contrastanti la stuzzicavano: tuffarsi nell’acqua del mare o in una pagina di libro, ritrovarsi con quegli amici la sera davanti alla gelateria o con i compagni davanti al liceo, aspettare l’inizio della scuola e poi la sua fine e di nuovo le vacanze, ancora al mare, ancora e sempre lì. Desiderava il prossimo futuro ma con intensità diversa da come rimpiangeva quello che era stato, che era ancora, sarebbe stato per il tempo dell’attesa, che le scappava di mano. Correva, avanti con la fantasia e indietro con la memoria, in un via vai estenuante.
Andrea le si sedette a fianco; prese tra le dita una ciocca dei suoi lunghi capelli ramati e le fece il solletico sul collo.
– Ma la smetti di pensare? Sento il rumore del tuo cervello… Sono gli ultimi giorni, goditeli.
– Ci provo, ma non ci riesco.
– Dimmi: cosa ti tormenta?
Il tono non era scherzoso, ma un dubbio le rimase:
– Lo vuoi sapere davvero o mi prendi in giro come tuo solito?
– Sono serio. Se ti va di dirmelo, ovvio.
– Certo, ma non qui – bisbigliò. Poi aggiunse:
– Vieni in acqua con me?
Gli altri non li seguirono. Rimasero stesi al sole, in attesa che il gruppo si infoltisse. Arrivarono i dormiglioni, quelli che la sera tiravano sempre più tardi degli altri perché volevano dormire in spiaggia. Una notte intera, su una di quelle sdraio in attesa che la luce del giorno arrivasse piano: dormicchiavano, fumavano, si baciavano, amoreggiavano, si addormentavano arrotolati nei maglioni, avvolti negli asciugamani presi in cabina, ancora umidi del bagno del giorno prima.
Alle sei del mattino, i bagnini che sistemavano le sdraio li facevano rotolare sulla sabbia; per compassione e riguardo per le ragazze, aprivano i bagni mentre qualcuno si tuffava in mare, il costume come una seconda pelle. D’estate, però. A settembre era troppo freddo anche per i più temerari.
Anna e Laura avanzarono tra uno sbadiglio e l’altro. Paolo e Luigi arrivarono dietro di loro, bisticciando per gli occhiali scuri. Uno dei due aveva perso il proprio paio la sera prima sulla spiaggia e non sopportava la luce del sole, l’altro non gli voleva cedere i suoi. Crollarono tutti e quattro seduti sulla sabbia:
– Ciao ragazzi. Che fate?
– Aspettiamo di fare il bagno. Roberto non è con voi?
– Starà ancora dormendo.
– Dove, qui o in un letto?
– Qui era troppo umido. Siamo stati tutti da Vincenzo.
I dormiglioni erano in debito di sonno. Si sdraiarono così com’erano, come un branco di animali che, stanchi per il lungo girovagare, avevano trovato un posto sicuro dove sostare.
Rimasero tutti zitti. Andrea ed Eleonora erano in mare. Nuotavano vicini, parlavano, andavano sempre più al largo. Paola notò che erano molto vicini, parevano abbracciati. Aguzzò la vista per distinguere meglio le sagome, ma non riuscì a vedere bene. Le restò il dubbio che quei due si stessero baciando. Sperò di sbagliarsi perché Andrea le piaceva, ma lui non pareva ricambiare; era gelosa, invidiosa, infastidita dalla spontanea ingenuità di Eleonora. Pensava fosse costruita, ma era solo lei a pensarlo.
Passò un tempo che non seppero calcolare.
Si appisolarono tutti al tepore del sole.
Il campanile suonò la mezza. Paola si mise seduta:
– Vado in mare.
– Vengo con te.
Rita e Paola, sulla battigia, procedettero lente, un centimetro di pelle alla volta, nell’acqua resa più fredda dal contrasto con il sole. Eleonora e Andrea erano a poche bracciate da loro ma non le avvertirono che tutti gli altri ragazzi stavano correndo per buttarsi in acqua in una esplosione di schizzi.
Le schiene si inarcarono, acute urla stridule, mischiate a qualche parolaccia, si sentirono nell’aria, i brividi di freddo furono vinti dalle risate e dalla battaglia di spruzzi che tutti ingaggiarono contro tutti. I dormiglioni ripresero vitalità, si diressero in gruppo verso la boa più vicina, mentre Andrea prese Eleonora per mano e uscirono dall’acqua. Si sdraiarono al sole, incollati. Quando lui si girò su un fianco per guardare il mare e vedere dov’erano gli altri, gli sembrò che Paola li osservasse. La salutò con la mano, lei gli rispose; avvicinò le labbra a quelle di Eleonora e la baciò, ancora e più a lungo di prima, quando la necessità di stare a galla aveva limitato il desiderio.
I dubbi di Paola svanirono.
Le tensioni di Eleonora si sciolsero. Passò le dita tra i capelli biondi e bagnati di Andrea, gustò quella nuova dimensione in cui aveva visto trasformarsi l’amico più grande, universitario inarrivabile, in un uomo che le aveva detto chiaro cosa provava per lei, da quanto? Non lo sapeva, ma non era importante.
– La sai una cosa che vorrei fare con te, qui, sulla spiaggia?
Andrea si spostò di poco per guardare la collina che aveva di fronte, di un verde squillante, con riflessi argentati. Eleonora dovette coprirsi gli occhi con la mano per osservare la sua espressione. Era curiosa di sapere a cosa pensasse. Doveva essere una cosa speciale e non la più ovvia.
– No, Andrea. Cosa?
– Hai mai aspettato la focaccia?
– No. Devo tornare a casa a dormire, è la regola.
– Da infrangere, fidati. Una notte intera davanti al mare può cambiare il tuo modo di vedere le cose, che ci sia qualcuno con te oppure no; e l’aria che arriva con la luce ha il profumo del mare, del sale e dell’olio. I fornai aspetteranno solo noi che per mano entreremo da loro a scaldarci con un cartoccio tiepido di focaccia. E se avrai freddo, o paura, ti abbraccerò. Parto domani pomeriggio, quindi stasera…
La voce sonora di Roberto li interruppe.
– Ciao! Gli altri? Sono in mare vedo.
Era arrivato con un amico, che aveva una chitarra a tracolla.
– Lui è Claudio.
Claudio chi? Si chiese Eleonora. Poi si rimproverò, perché era una domanda da matusa. A volte si sentiva così, un po’ matusa anche lei. Tutti i suoi amici avevano aspettato la focaccia almeno una volta in vita loro, lei no. La proposta di Andrea la ingolosiva e la metteva in crisi. Come avrebbe potuto evitare sgridate e punizioni? Cosa poteva inventare, che fosse anche solo un po’ credibile?
Andrea si mise a parlare con Roberto, Claudio accordava la chitarra; intervenne solo per rispondere alle curiosità di Andrea. Aveva capelli lunghi castani, la barba, i baffi, un paio di occhiali tipo Ray-Ban da vista e un sorriso aperto, simpatico, alla mano e al tempo stesso discreto. Che bravo, però. Gli accordi che stava provando la catturarono.
– Che canzone è? – gli chiese – Non la conosco.
– Fa parte di un album.
– Ma l’hai scritta tu?!
Claudio accennò di sì. Non le sembrò tipo da vantarsi. Le piacque. Provò a insistere:
– Come si intitola?
– Te la suono.
Aspettando Godot l’avvolse nella sua infinita, disperata e lucida tristezza. Le parole precise, mirate, poetiche la scossero. Fu una strofa a centrare e distruggere con la forza di un proiettile il meccanismo di quel suo cervello sempre in funzione:
L'adolescenza mi strappò di là
E mi portò ad un angolo grigio
Dove fra tanti libri però
Invece di leggere io aspettavo Godot
E un’altra ancora, poco prima che terminasse, completò l’opera:
È la prima volta che sto per agire
Senza aspettare che arrivi Godot
Non sapeva cosa avrebbe detto a casa, ma aveva addosso il calore delle braccia di Andrea, negli occhi il blu del mare di notte e in bocca il gusto sapido e morbido della focaccia appena sfornata.
N.d.A. Me lo ricordo così, Claudio Lolli con l’ espressione impressa in uno scatto che si può trovare sul sito ondarock. Ricordo benissimo la canzone che ha suonato e cantato, sulla spiaggia, per noi pochi eletti fortunati: l’ho canticchiata per giorni, allora. Non ho riscontri di altri presenti che me lo possano confermare, ma sono certa di aver vissuto questo momento, su queste note. Si possono riascoltare con un clic: https://www.youtube.com/watch?v=Ee8XiILtHaU
È questo l’unico riferimento autobiografico di tutto il racconto, oltre la focaccia, ovviamente
©Amelia Belloni Sonzogni