©Amelia Belloni Sonzogni

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Il tè di Natale

Ero davvero curiosa di sapere se Vincenza avesse seguito il mio consiglio, che poi era un banale suggerimento spassionato, dettato dall’amicizia e dalla mia convinzione che chi ha più buon senso ha il dovere di usarlo; nel caso specifico, io, Gina, moglie, madre e nonna, credo di averne da vendere, anzi, da regalare, considerato il periodo.
Per Natale, ne ho regalato uno alla mia amica Vincenza, di qualche anno più anziana di me.
È vedova, ma non è sola: ha una figlia, Maria, che è un tesoro e che lei apostrofa spesso come il bastone della sua vecchiaia: io mai lo direi di mia figlia, specie in sua presenza, ma non siamo tutti uguali. Quella volta, quando gliel’ho sentito dire davanti a lei, poverina, l’ho vista sbiancare, abbozzare un mezzo sorriso che pareva una smorfia di sopportazione ma, ferma nel suo aplomb, Maria si è subito ripresa, ha finito di bere il tè preparato per me e sua madre, ha assaggiato un pasticcino e si è congedata dicendo di avere da lavorare: «Tanto per cambiare! Almeno oggi, potresti farmi compagnia» ha commentato Vincenza, mentre io incoraggiavo Maria ad affrettarsi e non badare a noi vecchiette che avevamo da parlottare di questioni di scarso interesse per lei.
Bella, intelligente, studiosa, seria – forse troppo – Maria è un gioiellino da marito, che però non trova (oppure non cerca), con grande scorno di Vincenza, la quale si lamenta di non vederla corteggiata, circondata di amici e impegni, invitata a feste e divertimenti. Non si capisce bene a quali alluda e qualcosa mi dice che si lamenterebbe anche del contrario: se la figlia conducesse una vita mondana e modaiola, avrebbe comunque da ridire.
Potrei giurarci.
Lo dico perché la conosco da qualche tempo; ne passiamo parecchio insieme, all’ora del tè, ormai diventata un rito. L’ho invitata io la prima volta, per rompere il ghiaccio, perché Vincenza, nota a tutti i nostri comuni amici come una persona cordiale, partecipe delle vicende altrui, liete o meno che siano, secondo me non è generosa: se la inviti, accetta di buon grado ma quando si tratta di ricambiare (neppure tutte le volte, eh, non si sta certo lì a misurare con il bilancino; ne basterebbe una tantum, come quella rimasta impressa per la scarsa considerazione mostrata a Maria) allora nicchia: la casa non è mai a posto, lei stessa non è mai a posto, preferisce ci sia anche sua figlia, che si sa ha mille impegni di lavoro e non è mai disponibile… insomma, vincoli fittizi a non finire. Però, a parte questo, pare che mi ascolti.
Passiamo i nostri pomeriggi del tè a raccontarci: per la verità, sono io la più chiacchierona e spesso – mi dicono – ripeto vicende già note; non me ne accorgo perché non mi ricordo mai cosa ho già raccontato e a chi. È l’età, lo so.
Devo dire che Vincenza è molto paziente: di sicuro mi sarò ripetuta anche con lei, mai me lo ha fatto notare. Solo qualche volta ha sottolineato che ricordava quanto le dicevo, ma con un sorriso; sarà stato ironico? Ma no, dai, non credo.
Poco prima di Natale mi ha invitato da lei per il consueto tè: «Così ci scambiamo gli auguri di persona e non al telefono» è stata la motivazione.
Mi ha davvero stupito! Ho accettato con piacere e ho preparato i miei biscotti di Natale, che piacciono molto a Maria. Davo per scontato partecipasse anche lei al nostro incontro. Invece, eravamo sole e solette, noi due anziane signore.
Mi sembrava che Vincenza fosse di un umore migliore del solito, così ho pensato di cogliere l’occasione per il mio suggerimento, che meditavo già da qualche giorno. Ho lasciato scaldare l’atmosfera raccontando qualche novità sulle nostre conoscenze, farcita di qualche saporito pettegolezzo, ho aspettato che la sua bocca fosse impegnata a degustare i biscotti e l’ho presa alla lontana, ragionando sui regali di Natale che ancora mancavano alla mia lista degli acquisti: piccoli pensieri utili alla vita quotidiana. D’altronde, si fa quel che si può.
Vincenza ascoltava, sorbiva, masticava, annuiva, manifestava approvazione per le mie scelte, specie per quelle destinate a mia figlia e ai miei due adorati nipoti che ormai sono grandi, ma il regalo della nonna Gina sotto l’albero se lo aspettano sempre. Mi aspettavo dicesse la frase di rito: «Beata te, che sei nonna! Io, invece, neanche suocera…» e non ho dovuto attendere molto per sentirgliela pronunciare; ne ho approfittato subito:
«Cara la mia Vincenza, perché non salti i passaggi e adotti un nipotino?»
C’è mancato poco che il tè e il biscotto le andassero di traverso; mentre si asciugava le labbra con il tovagliolino ricamato, perfettamente stirato steso come prescrive il bon ton, prima che potesse proferire parola (mi aspettavo un rimbrotto, come minimo un ma cosa dici?!), ho precisato:
«Pensavo potresti far felice tua figlia acconsentendo finalmente ad accogliere in casa un cuccioletto di cane. Da quanto lo desidera? Sarebbe al settimo cielo».
Con espressione rincuorata – chissà cosa aveva capito –, Vincenza mi ha risposto dolente ma un tantino piccata:
«Lei sì, ma io? Maria lavora, ha tanti impegni, chi lo cura poi, il cane? Chi lo porta fuori regolarmente? Chi gli prepara da mangiare? Finisce tutto sulle mie spalle. No, no, per carità».
«Maria è una persona responsabile, una donna adulta».
Stavo per aggiungere: già mi pare assurdo che debba chiederti il permesso, potrebbe prenderselo e basta, senza aspettare il tuo consenso; tuttavia, mi sono morsa la lingua, sempre per il buonsenso che ho più di lei e quindi utilizzo, e ho aggiunto invece:
«Sono sicura che non ti lascerebbe un impegno superiore alle tue forze; sarebbe per entrambe una compagnia, qualcuno da accudire insieme».
Vincenza non poteva negare le qualità di sua figlia, ma non poteva neppure darmela vinta subito:
«Ci sono sempre gli imprevisti e un cucciolo, poi, sporcherebbe ovunque. E qui pulisco io».
Il tono da generalessa non lasciava spazio ad alternative: frasi del genere “lascia fare anche a Maria oppure cerca una persona che ti aiuti nelle faccende domestiche” erano inutili; sapevo che era un tasto da non sfiorare neppure, ma non mi sono data per vinta e ho insistito sulla bellezza di un gesto che avrebbe reso felici due anime, Maria e il cucciolo, e anche lei, alla fine che avrebbe avuto una compagnia costante, un essere da tenere come un principino, da amare e coccolare.
Ho insistito, ho sfoderato ogni repertorio, toccato ogni corda, tanto da non credere alle mie orecchie quando l’ho sentita dirmi:
«Va bene, Gina: mi hai convinto».
«Davvero?!»
«Proverò a sentire, a informarmi, e per Natale farò trovare a Maria un cucciolo».
Non ci credevo, eppure avevo sentito benissimo, anche perché me lo ero fatto ripetere, con la scusa che sono un poco sorda; me lo aveva assicurato, l’avevo convinta.
Mentre ci salutavamo sul pianerottolo, in attesa dell’ascensore, è arrivata Maria e io non ho resistito alla tentazione di anticiparle in parte la notizia, strizzandole l’occhio:
«Vedrai che bella sorpresa arriverà per te, questo Natale!»
Le visto i lucciconi negli occhi, la meraviglia sul volto, il pallore abituale sparire: sapevo che per lei la sorpresa non poteva che essere quella; l’emozione è durata finché Maria ha guardato negli occhi sua madre: un’ombra incredula è arrivata a scolorire tutto. Non ci credeva. Ma io ero certa, sono certa di quel che ho sentito. Mentre la salutavo con un abbraccio frettoloso, l’ho rassicurata: «Sono sicura, vedrai», le ho detto in un orecchio.
Passato il Natale, ieri le ho telefonato per levarmi la curiosità. Come speravo, mi ha risposto Maria e le ho subito chiesto se fosse contenta della sorpresa, quale nome aveva scelto per il cucciolo; neanche l’ho lasciata parlare e le ho svelato di sapere tutto da prima, anzi, di essere stata io a convincere Vincenza, a farle superare le ultime resistenze.
Sulle prime, convinta com’ero, non mi sono resa conto del suo silenzio, del suo imbarazzo. Ha balbettato qualche scusa, dicendo di non saperne nulla, ma di sicuro nessun cucciolo era stato tolto dal canile per lei.
Sono rimasta malissimo, quasi senza parole, e non è facile.
Ma come? Con tutte le rassicurazioni che Vincenza mi aveva dato? Le volte che mi aveva confermato, ribadito; non riuscivo a capacitarmi.
Mi sono fatta passare sua madre al telefono e le ho chiesto spiegazioni. Ammetto di essere stata un po’ troppo veemente, forse brusca, ma mi sono sentita presa in giro.
Vincenza ha lasciato che si esaurissero tutti i miei interrogativi, con abbondanti commenti e considerazioni sul mancato rispetto della promessa da parte sua e poi mi ha detto, testuali parole:
«Vedi, Gina cara, tu parli, parli, parli. Non ti si può interrompere, non si riesce a interloquire perché parli solo tu. Ci ho impiegato un po’, ma alla fine ho trovato il sistema per interromperti: darti ragione. Ti ho detto quello che volevi sentirti dire».
«Ma il mio era un consiglio spassionato».
«Non richiesto, anzi».
«Ho pensato a tua figlia, al suo desiderio…».
Ho replicato quasi senza saperlo, in modo meccanico, parlando più a me stessa che a lei, che tanto in quel momento non ascoltava, come non aveva ascoltato prima. Sono però rimasta di sale quando mi ha raccontato come Maria avesse trovato vuota l’ideale scatola regalo:
«Il giorno di Natale, Maria mi ha detto che si aspettava da me la sorpresa della quale avevi parlato tu, Gina, il pomeriggio del tè e mi ha chiesto di cosa si trattasse. Gliel’ho spiegato. Ti avevo detto, sì, che le avrei fatto trovare sotto l’albero che non addobbiamo perché non lo abbiamo, un cucciolo di cane che tanto desidera ma che io non alcuna intenzione di avere per casa; ma te lo avevo detto solo perché era l’unico modo per farti smettere e non farmi più sfinire dalla tua insistenza. Tanto, quel che decido di fare o no, non passa certo per la tua approvazione».
«Con buona pace della delusione di Maria» sono riuscita a dire.
«È adulta, o no?»
Ho balbettato qualche banalità, un saluto apparso forse forzato.
Passerà del tempo, credo, prima che io riesca a organizzare un altro tè con Vincenza.

[in Generazione Over60, dicembre 2023]

©Amelia Belloni Sonzogni