©Amelia Belloni Sonzogni
[delizioso, ironico, nostalgicamente rievocativo: così lo ha definito un poeta, amico mio, quale Bruno Belletti]
Giovani professori di belle speranze, nel tragitto casa – scuola, il giorno dopo Sanremo.
Da un’idea di F.N. liberamente interpretata.
Tre colleghi, ex compagni di liceo, viaggiano insieme ogni mattina da Milano a Limbiate. Hanno partecipato ai concorsi per insegnare lettere nella scuola media e si sono ritrovati nello stesso istituto.
Artemio Guidotti, filosofo, è risultato primo in tutte le graduatorie di tutti i concorsi ai quali ha partecipato. Metodo e rigore, scrupolo e studio sono i suoi imperativi morali. Ha un ricco mondo interiore che non mostra a nessuno.
Francesco Nasello, anch’egli filosofo, ha invece una grande empatia con il prossimo; è arguto, simpatico, con uno spiccato senso dell’ironia con il quale coglie il lato divertente delle situazioni.
Alma Bini Sebretti (un cognome solo, due parole, antica nobiltà) unica ancora precaria dei tre, storica, aspira a diventare una ricercatrice di ruolo perciò collabora – cioè, fa volontariato gratuito – con il proprio relatore. A questo scopo, necessita del lunedì come giorno libero settimanale, ma al primo incarico ha preso quel che c’era.
Si trovano ogni mattina in via Carlo Farini, alla fermata del tram per Limbiate, tram che tutti chiamano trenino. Il tragitto è lungo ma i tre riescono ad arrivare a scuola prima che suoni la campanella. Con loro viaggia di solito anche un amante, molto amante, fanatico della geografia, Gherardo Stallone, che Alma ha scoperto essere stato un alunno di sua madre alle elementari: è un tipo strano, a dir poco umbratile, di certo misantropo, forse misogino. Infatti, quando gli capita di viaggiare con Orsolina Manieri, una collega che sale un paio di fermate più avanti, è capace di ignorarne i maldestri tentativi di intavolare una chiacchierata e tace, ostinato, per tutto il tragitto costringendo lei pure al silenzio più ingessato.
È l’11 febbraio 1985.
Alma detesta arrivare in ritardo, quindi è sempre in abbondante anticipo. Nei tempi morti dell’attesa le scappa talvolta qualche considerazione a mezza voce.
«Pensare che, quando andavamo a scuola noi, oggi sarebbe stato un giorno di vacanza. Invece siamo qui, al freddo! Mancano almeno venti minuti alle sette e un quarto, uffa». Borbotta infilata nel bavero, che tiene stretto al collo con le mani guantate, il vapore caldo dello sbuffo esce dalla pelliccia. È finta, acquistata in saldo in un negozio di Porta Romana dove mai avrebbe comprato neppure un calzino. Non ha ancora capito se le piace o no, di sicuro è calda, adatta a questo inverno gelido, nevoso, sempre più insopportabile. Dopo la nevicata memorabile di gennaio e tre giorni di pioggia, Milano è avvolta da un bel nebbione, dal quale sbuca – ma non lo vede – uno dei suoi compagni di viaggio. Con il bavero alzato, gli occhiali gelati, un cappello tirolese ben calcato sulla fronte e il naso pronunciato tutto rosso, la fa sobbalzare:
«Ma cosa fai, parli da sola, adesso?»
«Francesco, che spavento!»
«Oh, ma che schianto, che top model, che capo da sfilata!»
«È troppo vistosa, vero?»
Francesco esita. In realtà, la palandrana gli pare estranea all’abituale sobrietà di Alma, quindi cambia discorso:
«Per cosa ti stavi lamentando?»
«Ma cosa fai, mi leggi nel pensiero? Pensavo: tempo fa si stava a casa nell’anniversario della conciliazione».
«Vero!»
«Da quando ho iniziato a insegnare, uno alla volta, sono spariti tutti i presunti vantaggi. Meglio che non ci pensi. Hai visto? La pioggia ha sciolto i resti della nevicata epocale! Quei mucchi di neve nerastra a bordo marciapiede erano proprio orrendi».
«In effetti, stonavano con il tuo aristocratico piedino…».
«Spiritoso! Il mio aristocratico piedino in questo momento è freddo gelato. Arrivasse almeno il tram! Guarda, arriva Artemio, invece».
«Dove lo vedi? Con questa nebbia… ah, eccolo. Ciao. Gherardo non c’è?»
«Ciao. L’ho aspettato alla fermata della 92, ma poi temevo di perdere il trenino e non ho atteso oltre. Come state?»
«Bene, sì, bene; io ho passato la domenica a correggere temi».
«Io ho cercato di sopravvivere al freddo: si è rotta la caldaia condominiale; con la prova orale di filosofia da preparare, è stata una tortura stare ferma a studiare».
«Avrai modo di scaldarti a scuola…».
«Eh, ridi, ridi, Nasello. Vorrei vedere te, mentre rincorri un alunno per i corridoi!»
«Appunto, ti tieni in formissima. Sei un figurino».
«Unico vantaggio di questo incarico! Va bene un anno di servizio, stipendio e punteggio, ma almeno fatemi fare quello per cui ho studiato, non l’insegnante di sostegno. Ci vorrebbe per me, il sostegno… Mah!»
«Se ti servono appunti per il concorso, ti passo i miei».
«Grazie, Artemio. Li accetto molto volentieri».
«Te li porto domani».
«Supererai anche questo e il prossimo anno avrai la tua cattedra, sono sicuro».
«Dici sul serio, Francesco?»
«Certo! Non sto scherzando: sono profondamente convinto delle tue aristocratiche capacità». Ride Francesco, sotto le falde del copricapo tirolese; la stuzzica, ma dice sul serio e lei lo sa:
«Va beh, lasciamo perdere. Arriva il trenino. Era ora».
«Sediamoci qui, c’è posto anche per la Maniero, quando salirà».
«Vedi Artemio, com’è premuroso Francesco. Perché fai quella faccia?»
«Non la capisco: la Maniero non articola le parole, parla a bocca chiusa».
«È un po’ chiusa, in effetti. Alla prossima fermata salirà anche “Non solo moda”».
Artemio Guidotti sorride per il soprannome appioppato da Francesco Nasello a una signora non proprio elegante che prende spesso la stessa corsa e guarda fuori per individuarla alla fermata, ma il finestrino è appannato e desiste. Alma è impaziente di vederla:
«Come sarà abbigliata oggi? Magari avrà preso spunto dalle toilettes da sera del Festival. A proposito, l’avete visto? Perché ridi, Francesco?»
«Per l’espressione di Artemio!»
Sembra infatti che abbia sentito un improvviso fetore ma al tempo stesso sia curioso di scoprirne l’origine:
«Non mi vorrete dire che l’avete seguito, tutto?!»
«Sono stata obbligata! A casa mia, con mia madre incollata al televisore, non si è potuto vedere altro».
«A me interessa come fenomeno di costume. Penso abbia una sua filosofia, e tu, Artemio, mi sei maestro in materia».
«Preferisco leggere. Sto lavorando a un nuovo saggio su Jean Meslier».
«Potremmo unire le nostre forze, però…».
Il discorso lasciato in sospeso da Francesco solletica la curiosità degli altri due, che domandano all’unisono:
«Per cosa?»
«Per un bell’articolo a sei mani: “Pensiero e storicità del festival di Sanremo”. Suona bene, o no? Suona, Sanremo…». Muove pollice e indice per sottolineare la freddura che lascia tutti più freddi che pria. Alma esclama:
«Eccola: sta salendo “Non solo moda”».
«Pensavo peggio!» si distrae Artemio dalle proprie riflessioni.
«Per forza, a parte il berretto di lana all’uncinetto, è tutta imbacuccata nel cappotto; non si vede nulla di quanto c’è sotto».
Francesco lancia il sottinteso ad Artemio che non coglie, forse, non si sa.
Alma vede la Manieri in cerca di un posto a sedere e la chiama sventolando una mano sulle teste degli amici:
«Orsolina! Siamo qui, Nasello ti ha tenuto il posto! (Ahi, che gomitata!)».
«Ma ben gentile! Buongiorno, colleghi. Posso sedere teco, Francesco?»
«Certo, accomodati. Stavamo parlando del Festival di Sanremo. L’hai visto?»
Orsolina Manieri sbianca e, mentre il trenino riprende la corsa, perde l’equilibrio: in un attimo, vola sul sedile, senza riuscire a controllare le gambette secche che non arrivano, neanche con la punta delle scarpe, a toccare il pavimento gommato del mezzo e vanno per aria, con scompiglio della gonna e affanno di Orsolina che prova a coprirsi.
«Ti senti bene?» le chiede Artemio, premuroso. Gli altri due faticano a restare seri.
Integerrima, claustrale, il sorriso raro e tirato, sempre a denti stretti, Orsolina è davvero un esempio di omen nomen. Fatica a trattenere l’indignazione suscitata dalla domanda (Ovvio che non – e sottolinea non – lo ha visto, il festival! Orrore! Come possono persino domandarglielo?) ma soprattutto dalla scoperta che quei suoi colleghi, quelli che stimava così tanto, con i quali poteva pensare di intavolare dialoghi sui massimi sistemi considerate le rispettive competenze, proprio loro, di cosa discutevano il lunedì mattina prima delle lezioni? Di uno spettacolo televisivo futile, legato alle scommesse del Totip, quindi a chissà quali intrallazzi, con quelle canzoni insulse, eppure vincenti: come si fa a dire “se mi innamoro, sarà di te”? Che fai, ti innamori a comando? E quella tappetta (Orsolina pativa molto a osservare negli altri la sua stessa caratteristica bassa statura) che canta senza stare mai ferma, pare un grillo impazzito. E l’energia felice che le sprizza dagli occhi e da tutto il corpo quando canta? Fastidiosa. Una nullità, al confronto con i Duran Duran: mostri sacri della nuova discografia, oggetto di scene di fanatismo che le ricordavano quelle per i Beatles osservate da giovinetta. Forse (e sottolinea forse) poteva apprezzare qualcosina di quel Mango che ha vinto il premio della critica ma non è neppure arrivato all’ultima serata, a riprova del fatto che il pubblico italiano medio non capisce un accidente. Per non parlare poi della scenografia: pareva di stare sopra un’astronave. Il secondo classificato, ma non sembrava uno dei loro alunni? Ragazzo di oggi… poveri noi.
Artemio, Alma e Francesco si guardano allibiti. Mai, nei mesi di conoscenza, per quanto pochi, l’hanno sentita parlare in modo così esplicito, con una così chiara articolazione di sillabe e parole, tanto da aver compreso tutto il detto e anche il non detto. È Francesco ad azzardare un commento, a mezza voce («Per fortuna non lo ha visto») che Orsolina però non coglie e riprende:
«Tuttavia, almeno ha una voce meno nasale di quello della Terra promessa dell’anno scorso. E anche Al Bano, volete mettere che do di petto?»
«Volete mettere Freddie Mercury e i Queen? Radio Ga Ga, radio Gu Gu».
Su questo strabiliante e inaspettato appunto canterino di Artemio – sì, proprio lui, il rigoroso filosofo – il trenino giunge a Sanremo, cioè no, a Limbiate.
Capolinea, si scende.
La campanella suona.
Alma e Francesco si avviano a passo veloce verso la scuola poco distante dalla fermata.
«Donne, du du du» intona Francesco.
«In cerca di guai» continua Alma.
«Donne al telefono…» ribatte Francesco.
«Che non suona mai…» risponde Alma, pensando al suo ultimo amore perduto.
Orsolina e Artemio li seguono a ruota. Artemio adegua il passo a quello breve di lei; pare abbiano trovato il modo per comprendersi: una serata davanti alla televisione, insospettabile per entrambi, forse li ha avvicinati. Gli sguardi risuonano sulle note di Wagner, lei sogna di essere Elsa che attende Lohengrin in arrivo dal mare a cavallo del cigno. Tuttavia, gli sguardi sono muti e tali resteranno. La magia del Festival è terminata.
[in Generazione Over60, marzo 2024]
©Amelia Belloni Sonzogni