La spiaggia di Levanto è cambiata: a volte la osservo, allestita per i turisti, e non mi sembra più nemmeno ligure. La distesa di lettini sulla sabbia, riportata dal Po poco prima che si apra la stagione, mi fa pensare al litorale adriatico. Alluminio e tele sintetiche fanno a pugni con il mare, la luce, il gozzo che scivola sulle onde, la sagoma inconfondibile del fuoribordo amalgamato con chi lo pilota: si stagliano nel cielo un gomito piegato, una schiena leggermente ricurva, qualcuno naviga anche stando in piedi a poppa.
È una questione estetica, ma anche etica: di un luogo vanno preservati i caratteri distintivi, curati come fossero antichi depositari di saggezza e conoscenza. Quanto si ritiene più nuovo, più pratico, più al passo con i tempi è spesso incongruo.
Rimpiango com’era: la tela delle sdraio sbiadita, le sbarrette da controllare sempre prima di sedersi per evitare di finire gambe all’aria, gli ombrelloni stinti in sequenza numerica disordinata, perché c’era sempre qualcuno che chiedeva la cabina lì, ma l’ombrellone là, vicino a questo e lontano da quello. Ricordo i bagnini che infilavano pali nella sabbia, girando per fissarli meglio, mentre il bagnante aspettava con teli mare, borse di paglia e stuoie in mano. Il cliente era sempre accontentato.I pattini pronti al salvataggio, le cime legate ai pali molto più su della battigia a tenere la boa, i ciottoli: spariva tutto con una mareggiata che portava sabbia morbida, speciale per passeggiare e costruire castelli con arzigogoli merlati, destinati a crollare sotto il loro stesso peso prima ancora di essere asciutti, o portati via da un’onda più lunga, mentre i sassi brontolavano, ricadevano uno sull’altro, non riuscivano a fermarsi perché il mare li risucchiava via.
Rimpiango com’era.
Eppure, quante volte abbiamo criticato la vecchia disposizione degli ombrelloni a semicerchi? Quante volte i bagnini hanno mugugnato perché costretti a ricollocare le sdraio lasciate in riva al mare dal bagnante indisciplinato? Era così piacevole sdraiarsi a prendere il sole sulla stuoia di paglia, srotolata sui sassi il più vicino possibile alla battigia; poi però, di pomeriggio, il sole calava e per non lasciarsi scappare quei raggi, quelli tiepidi e gratuiti di Govi (che tanto gratuiti per noi foresti non erano), era meglio stare sulla sdraio. La trascinavi per i piedi dall’ombrellone al mare e stavi lì, a guardare il tramonto, a pensare a domani, alla prossima gita agli scogli.
Là, alle amate spiaggette a ponente del golfo ci sono ancora quelli della parete di roccia, un tempo sommersi dall’acqua, oggi circondati di ciottoli e sabbia. Ci vado ogni giorno d’inverno con il mio cane. Passeggio e riconosco gli appoggi dei miei piedi piccini quando arrivarci era la mia avventura quotidiana, un’impresa da intrepidi.
Il Bernardone è sempre lì: un tempo la distanza dalla battigia era coperta di acqua di mare, nuotavi e gli salivi in testa, sulla testa di questo grande cane di roccia che presidia il tramonto.
Dalla parte opposta del golfo, a levante, l’insenatura in fondo alla passeggiata era davvero per i più temerari: un agglomerato di sassi da spaccare gli zoccoli a un ungulato. Chi la guarda oggi, vede una distesa di sabbia più che raddoppiata (in profondità) e non la riconosce. Eppure! Quello che il mare custodiva laggiù, a de via ou moe, era un tesoro che i ragazzini di oggi – purtroppo per loro – neppure immaginano. Stelle marine, polpi, ricci, distese di patelle… Non se ne vedono più; girano le castagnole, qualche occhiata, tanti umani con maschera e boccaglio, e anche le pinne.