Mentre lei insiste con il suo ostinato silenzio stampa fino a questa sera, io mi trastullo a ricordare, che poi è un'attività per la quale esisto ancora e talvolta riesco persino a far sentire la mia presenza (inquietante, mi dicevano per sorridere di certe mie espressioni "da statua" tipo quella qui sopra che mi ritrae mentre osservo e verifico che tutto sia a posto). Come riesco a farmi sentire? Chi ha letto il libro che racconta la mia storia lo sa già, ma questa volta, invece di suggerirvi di leggerlo [in ogni caso tutte le informazioni utili sono qui], sarò magnanimo e ve lo dirò: sono una voce che mio fratello Giatt avverte in modo molto più chiaro e distinto di lei, e di lui, spesso troppo tristi quando mi pensano, talmente tristi che paiono sordi.
Capita tuttavia che in certe situazioni neppure Giatt ci riesca.
La settimana scorsa, per esempio, a partita iniziata da una manciata di secondi, l'urlo di gioia è stato tale che si è spaventato: tutti i rumori forti lo inquietano, più sono forti e improvvisi e peggio è, a maggior ragione se arrivano da lei e somigliano ad una sgridata.
Si è appiattito sotto il poggia-piedi del divano, orecchie tutte indietro, piatte pure loro, e coda fra le zampe.
Lei lo ha rassicurato, accarezzato, ma senza risultati.
Ho capito di dover intervenire – di solito, funziono – ma questa volta Giatt non dava retta neanche a me.
«Ce l'ha con me, ce l'ha con me, ma cosa ho fatto?» ripeteva ossessivamente.
«Niente, non ce l'ha con te, anzi! È contenta perché stanno vincendo...» ribadivo.
Credevo si fosse convinto ma, all'urlo di gioia successivo, lo spavento è cresciuto al punto di diventare ansia conclamata: respiro affannoso, zampe sul divano, zampe giù dal divano, fuori dal riparo, dentro al riparo, tutti spostamenti immotivati di chiara matrice ansiogena, fino alla salivazione esagerata. Sapevo che lei si sarebbe spaventata più di lui: che gli succedeva? Era talmente euforica per il vantaggio da non immaginare che la sua voce fosse stata troppo alta per i timpani del Giatt... eppure, bastava rifletterci un momento: il Giatt si chiama così per le sue grandi orecchie (Uregiatt, Giatt...) un tempo spropositate, ora in proporzione perché lui è cresciuto intorno, ma l'udito, la sensibilità, sempre quelli sono... L'ho pensato intensamente, ho sperato che lei mi sentisse e lo ha fatto oppure se ne è resa conto, non saprei, ma sul settimo gol, quello in fuorigioco di un pelo, si è trattenuta per il bene che gli vuole:
«Tifo in silenzio, va bene Giatt? Sei più tranquillo, ora?» gli ha detto.
Giretto e pipì a partita finita e il fifone si è placato, ha poi dormito tutta la notte come un ghiro.
Lo so, avevo promesso di raccontare degli eventi dell'anno del ***. Ecco, rimanderei ai prossimi giorni la narrazione di quella serata, ma non dell'anfiteatro che l'ha ospitata, la nostra postazione in campeggio, organizzata come appariva al termine delle operazioni di insediamento.Il camper stava sotto la tenda a tetto (installata a riparare dalle intemperie), dietro alla veranda (sollevata su pavimento flottante di fronte al quale un campeggiatore tedesco aveva esclamato: «Das ist professionell!»), protetto dal rimorchio-cose trasformato in cucina da campo (lì dentro ci stava una cucina a tutti gli effetti, con ogni elettrodomestico indispensabile e persino un lavandino). Si intravede anche l'auto, quella che ancora ospita i miei peli. In viaggio sembravamo il circo Barnum: camper con barchino a traino e auto con rimorchio, andavamo in fila indiana, collegati via radio con un paio di walkie talkie. Io viaggiavo sul camper: guardavo il panorama o dormivo o ascoltavo lui che raccontava.
Nell'immagine, non si vede l'antenna, la parabola che captò il segnale la sera della finale... quella alzata su un palo di confine con la pineta di Sgrufi... chi era Sgrufi? Ve lo dico la prossima volta; ora mi metto pure io in silenzio stampa.
