A Cervasca, provincia di Cuneo, c'è una casa accogliente.
La gestisce Carla con sua figlia, sua nipote e i volontari. Sono una famiglia con i propri amici. Si prendono cura dei cani che non ne hanno: non hanno casa, famiglia, amici. Non hanno giardino, non hanno spazio, non hanno vita vera, solo reclusione o abbandono. Anche in canile conoscono la reclusione, certo, ma le cucce sono confortevoli e ci sono i volontari che – se hanno qualche naturale preferenza – si occupano di tutti, conoscono tutti, provvedono ai bisogni di tutti. E cercano di individuare la vera natura dei potenziali adottanti sotto la scorza della dilagante finzione: una piaga umana, personale e sociale, dalla quale i cani non riescono a difendersi da soli.
Il Rifugio la Cuccia è la dimostrazione che si parte dalla «Persona con la P maiuscola»: quella che i genitori «primi educatori» plasmano in ogni istante di vita insieme. In famiglie attente, premurose, coinvolgenti e capaci di fornire gli stimoli adeguati a sollecitare la curiosità, crescono giovani Persone come Natalia e Rachele e le altre volontarie che nel video presentano alcuni dei cani in cerca di casa: Perla nata e vissuta in gabbia, che a 13 anni impara cose nuove a ogni uscita; Jered che adora l'acqua; Jackie golosa di mele; Billo, un amstaff che si allena per la dogdance [apro parentesi volutamente polemica: altro che CAE-1! guardatelo, farebbe impallidire gli estensori della Save List].
La quarta puntata del documentario di Giaris Magi conferma – non a me, che ne sono certa, ma a chiunque segua Storie di canili – la centrale importanza dell'educazione, della trasmissione di valori con l'esempio, dello sviluppo della sensibilità personale per alimentare quella collettiva.