ci vediamo a settembre


Tornereste a scuola? Io sì, ma non in cattedra e - se avessi la macchina del tempo - in quel tempo.
Il liceo è un luogo e un momento della vita che ricordo con tenerezza e rivivrei anche subito, con maggiore consapevolezza e attenzione per qualche aspetto allora trascurato.
Arturo Cattaneo con Ci vediamo a settembre riesce a ricreare la stessa l’atmosfera del nostro liceo negli anni in cui l'abbiamo frequentato.
Ritrovo «il vero figo [che] non cagava mai [...] secondo l'accezione carducciana del termine [...] e cioè "prestare attenzione"», le moto sulle quali vigeva da parte dei miei genitori il divieto assoluto di salire, le mode distintive che condensavano l’appartenenza in un indumento. Rivivo momenti cruciali dolorosi, di scontro e talvolta violenza, che mi sono rimasti impressi, che ho sempre combattuto. Mi rivela un punto di vista, all’epoca non considerato, sull’amore e sulle ragazze: quello dei maschi che custodivano il segreto desiderio di incontrarne «una, bella e fedele» come doveva essere la traduzione secondo il professor Zambarbieri, cui è dedicato il romanzo.
Quando la scuola iniziava in tutta la nazione il primo di ottobre, a settembre c’erano gli esami di riparazione e il mercatino dei libri di testo usati, che al liceo classico Giosuè Carducci di Milano era un’occasione di incontro prima dell’inizio delle lezioni per studenti, ripetenti e spaesati neo-quartini in cerca del loro posto, ancora ignari della lettera che avrebbe segnato il loro destino, quella del corso in cui erano stati inseriti con i professori che li avrebbero formati.
Sono maschili l’occhio e la voce che osservano e raccontano inquietudini e pulsioni di giovani studenti del corso E, forse allora non del tutto consapevoli dello spessore di chi era in cattedra, ma di sicuro affascinati dalla personalità di alcuni di loro. Accanto alla vita scolastica che la mattina anima aule, corridoi, scale gremiti durante l’intervallo [quante volte sono andata, con il cuore in gola, su e giù per le scale dal mio corso C al corso E...], si svolge quella pomeridiana: studiosa nelle case, scapestrata e avventurosa al bar della fermata del metrò a Piazzale Loreto, lungo il corso Buenos Ajres, nei cinema allora numerosi in tutta la città. Il Pacini con le sedie di legno, l’Argentina, il Diana con i velluti rossi e gli atri di marmo, il Puccini con gli ultimi numeri di avanspettacolo, catapultano in una realtà alternativa, trasgressiva e onirica i carducciani catturati dalla goliardia, spaventati dall’amore vero, ma «inguaribili romantici» convinti che il mondo esistesse «come volontà e illusione».
Sono affettuose e riconoscenti le pagine dedicate ai professori, stimati maestri di vita, Giandebiagi e Moretti, uno minuscolo e l’altro enorme che arrivando un giorno da due corridoi, reciprocamente nascosti l’uno all’altro da un angolo, rimbalzano uno sull’altro creando una situazione comica di fronte alla quale significativamente nessuno ride.
Nella scrittura leggera ma coltissima si infilano tutti i dettagli, i suggerimenti, i ricordi, le riflessioni sul microcosmo di un liceo all’interno di una città a suo modo magica. Chi lo ha vissuto lo riconoscerà all’istante; per gli altri sarà una bellissima scoperta.
Nell'immagine di copertina I sette savi di Fausto Melotti nel giardino del liceo di via Beroldo.