il senso del poeta

Scrivo questa nota a margine a Se non avessi i sogni. Risonanze poetiche di Bruno Belletti intingendo il pennino nell’inchiostro dell’amicizia: quella bella, che resta nonostante lunghi reciproci silenzi.
Bruno Belletti e io non sapevamo di frequentare lo stesso liceo: lui nel corso G, io nel corso C del Carducci a Milano; ci divideva un piano e il caso ha voluto che non ci si incrociasse, neppure per quelle scale che io ho percorso infinite volte per… ma questa è un’altra storia. L’ordine alfabetico  ci ha fatti incontrare nelle aule dei concorsi a cattedra prima, nei corridoi del provveditorato di Milano poi, dove abbiamo scelto la sede definitiva come vincitori di concorso, la stessa per entrambi. 
Banchi, cattedre, scuola, cultura sono dunque il nostro comune denominatore.
Lui è bravissimo. Sono sempre stata consapevole della sua validità di docente, delle sue capacità di studioso di filosofia ma la sua squisitezza di poeta è una più recente rivelazione.
E lo ritrovo tutto, Bruno, per me «il» Belletti, nella prefazione alla sua silloge poetica: quando dice dei temi del suo scrivere, quando mostra l’umiltà dei migliori, quando afferma di trovare «pace soltanto nella contesa» che credo di poter tradurre anche con l’intervento costruttivo a imprimere una più etica direzione a quanto vede distorto, perché al «così fan tutti» non ci si deve rassegnare. La correttezza è la sua cifra di persona, percorsa dalla sagacia e da un’ironia colta con la quale ama giocare.
Bene fa quindi Paola Maldotti nella bellissima Introduzione (interessante lezione che mi ha riportato ad imparare con gioia sui banchi) a indagare le intenzioni poetiche e – loro tramite – il poeta: docente, dirigente scolastico (il più giovane vincitore di concorso in Italia), onesto, vero e veritiero, come la sua poesia.
Avevo letto qualcosa, sparso qui e là. Mi aveva colpito la densità dei messaggi racchiusa in concetti semplici, che inducono però riflessioni profonde, come quelle che si sente il poeta ha operato su di sé e l’introduzione spiega.
E a piccoli sorsi vanno lette, per comprenderle e gustarle in pienezza nelle pieghe della «vicenda insensata» dei giorni: un uomo che assiste al risveglio della propria donna, pensieri che si abbandonano al riposo domenicale o vanno ai genitori rimasti nei ricordi più belli, il senso glaciale e duro della solitudine, il tormento di una passione inquieta, il bisogno di un silenzio puro, la speranza nel domani, il ri-prendersi: recuperare fiducia, energia, desiderio di gioia… e tanto altro, compreso e non ultimo il potere corroborante dello scrivere.
Credo che scrivere e pubblicare poesie come queste richieda un coraggio di mostrarsi non indifferente. Apparirà evidente al lettore la figura, con aspetti per me insospettati, di un uomo complesso, abituato a riflettere, a scandagliare, capace di «un vivere caparbio», di bene e di amore, del «mite calore dei gesti normali». Apparirà evidente al lettore un poeta contemporaneo di spessore, intimista, con lo sguardo disteso sul divenire delle tante brutture dei nostri giorni, del nostro «vivere gramo». Di certo, infine, apparirà evidente al lettore che il concetto di utilità spicciola, tanto in auge, costringe (in senso etimologico) e toglie al nostro vivere la possibilità di non essere gramo.