©Amelia Belloni Sonzogni
Guardo il blu della notte.
Da qualche tempo mi dimentico di osservare il bello che mi circonda; la mente è impegnata in altre faccende, grevi, eppure incombenti.
Quasi mi sorprendo a vederlo e riconosco la tonalità del colore del cielo, limpido. Si distingue a occhio nudo, il blu notte, perché l’aria tersa amplifica la luce delle stelle e lo fa risplendere. Il crinale del bosco di fronte, nero come la pece, mostra una criniera di alberi spogli, netti nei dettagli dei tronchi e dei rami; sembra il cranio di un gigantesco elefante al quale è rimasto in testa qualcuno dei peli da cucciolo.
Riesco anche a sentire i profumi dell’autunno: umidità di piogge appena passate che marcisce le foglie ammucchiate, le erbe residue, le canne piegate sulla riva del torrente; l’acqua corre chiacchierando anche a quest’ora e sono meno frequenti le incursioni dei cinghiali assetati che battono gli zoccoli sul greto di sassi.
È tutto bellissimo, ma non sono tranquilla.
Vorrei tanto parlarti, papà.
Non serve che mi racconti niente, e lo sai. È sempre bastato uno sguardo, un gesto, un ammiccare e la consonanza tra noi era trovata, la domanda già posta e la risposta già data. Quindi, anche ora, io so già tutto e tu sai dove attingere; il tuo bagaglio è cospicuo. Ti ho insegnato il coraggio e la lealtà, ti ho educato a credere in quello che pensi, a sostenerlo, a non lasciarti intimidire né schiacciare da nessuno. Non sarà certo quella nullità che…
Perché l’essere intenzionalmente molesti, pericolosi, nocivi – parrebbe un crescendo rossiniano, se non fosse una bruttura – si incarna in umana, deleteria, nullità? Contrastarla è svilente.
Vero, ma devi. Devi trovare il modo.
Lo sai – te l’ho raccontato – che in quei due anni avrebbero potuto ammazzarmi in ogni momento: bastava un ghiribizzo, uno sbalzo di umore, un gesto male inteso e poteva essere la fine per me, per tutti noi che eravamo rinchiusi nei reticolati di un campo in Germania. Ognuno di noi ha trovato un modo per non lasciarsi sopraffare dal brutto, dall’ingiusto, dal male, anche se lo subiva.
Al tuo perché, però, non so rispondere Ninin.
Proverò a fare come te…
Intanto, rassegnazione mai! Non avevo niente, neanche da mangiare e la mentalità del prigioniero avvilito, facile preda dei ricatti dello stomaco, era in agguato, ma ho reagito e mi sono opposto. Qualcuno tra noi ha ceduto alla fame, al desiderio di casa e famiglia; chissà, magari avrà anche commentato che il mio, il nostro – perché tanti si sono comportati come me – è stato “solo” un bel gesto. Non giudico. Di sicuro mi è servito pensare che, fossi morto allora, sarei morto lasciando di me un segno di coerenza e dignità, che sono fonte di bellezza. Sono certo che lo pensi anche tu perché te l’ho insegnato e sei tu stessa il frutto della mia resistenza.
Anche la ragione è bellezza: ripristina l’equilibrio, riporta armonia, dà la giusta soddisfazione. Perché fatica a essere riconosciuta?
A pro del torto, interviene sempre un interesse: c’è chi è mosso solo dalla convenienza personale e la usa, nei modi più biechi. Un comportamento indegno non è buono, non è morale, non è bello. Tieni lontano da te questi personaggi.
Sono tanti.
Purtroppo; mai demordere, però. E se ci sono riuscito io, in quelle condizioni, ci riuscirai di sicuro anche tu.
Mi vergogno del paragone: è quasi un sacrilegio, papà.
Lo so, ma te l’ho detto solo per rincuorarti. Lo scoraggiamento passeggero è comprensibile. Quando ti prende, apri uno di quei libri d’arte che ti ho lasciato. Isolati, sfoglialo e lascia che le immagini spianino le pieghe della tua fronte, osserva il bello e trasformalo in forza e fierezza, fanne alimento dell’anima. Leggi un romanzo che ti piace. Guarda il panorama dalla tua finestra. Vai in riva al mare. Accarezza il tuo cane. Stringi la mano forte e decisa che si tende per sorreggerti. Sentirai arrivare la serenità. Fissala nella memoria e prendila quando ti serve. Sentiti accolta e protetta dalla bellezza che ti circonda.
Lo farò, papà.
Ricordo quando ti osservavo sfogliare i tuoi libri d’arte: ti si formava attorno un alone di bellezza che non volevo turbare, un’aura impalpabile di riservatezza che m’impediva di chiederti a cosa pensassi, su cosa riflettessi, se sulla tua fronte passassero ricordi o immagini del futuro.
Davvero mi capitava? E solo guardando un libro?
Anche un quadro o il nostro cane.
Sì, il nostro piccolino era la mia bellezza.
A volte mi pento di non averti interrotto per parlarti.
Non importa. Tu eri la mia bellezza. Per tutta la nostra vita insieme, sono stato abitato da un persistente stato di preoccupazione per te, quasi incosciente, che mi agitava, mi rendeva ansioso. Poi ti guardavo, ti osservavo crescere libera da pregiudizi; la fiducia in te e nelle tue capacità mi tranquillizzava. So che riuscirai, riuscirete.
Dove sei, ora? È bello lì?
Ricordi cosa dicevo quando si parlava dell’aldilà?
Sì: “nessuno è mai tornato a dirci com’è”. Potresti essere tu l’eccezione.
Sento calare un profondo silenzio.
Una luce irreale opalescente che si proietta sulla sua sedia antica lo illumina seduto lì, lo sguardo sereno, gioioso, il sorriso aperto e le spalle distese. Posso sentire il battito del suo cuore che ingenerava sempre in me la calma, mi induceva alla riflessione, risvegliava la mia consapevolezza.
Per un attimo, per capire se sono ancora sveglia o se sto sognando, guardo la valle fuori dalla finestra: le pupille si sono abituate al buio e riconoscono i declivi, individuano i borghi. Quando mi giro di nuovo, la sedia antica è vuota.
Accarezzo il mio cane e stringo la mano forte e decisa che mi sorregge.
Sono circondata da una bellezza invincibile.
[in Generazione Over60, novembre 2023]
©Amelia Belloni Sonzogni